Disativè

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pulcetta th
view post Posted on 1/2/2010, 21:40




Titolo: Disativè
Autore: pulcettath

Rating: G/sessuale; NC17/linguaggio; di media PG15 u-ù
Genere: Commedia
Avvisi: Twincest not related (AU), Fluff, Language
Keywords: Questa storia partecipa al Contest bandito da tokiohotel.forumfree – Valentine’s Day, il sorteggio è stato il seguente:
9) Discoteca
2) Cioccolato alle nocciole
15) A scelta -> “Ovviamente, è il solito single a S. Valentino”
Riassunto: È un luogo fatto per attirare tutti e disgustarne altrettanti, è un posto nel quale trovi di tutto o – a seconda dei punti di vista – non trovi nulla di nuovo. In fondo, se ci fai caso, è soltanto un concentrato di vita, quotidianità, bizzarria, perversione e normalità; ma il proprietario non ha fatto altro che amalgamare tutti gli aspetti e le prospettive della vita stessa.
Disclaimers: I Tokio Hotel non mi appartengono. Tutto quello che trovate descritto è frutto della mia mente contorta e io non ci guadagno nulla se non i vostri commenti, che sono il pane degli scrittori – o pseudo –, quindi non fatemi stara a dieta.




Io mi detesto, sul serio; anche se quest’espressione è ancora troppo soft per l’avversione che provo nei miei confronti in questo momento. Mi schifo, mi disprezzo, mi odio.
Cosa ci faccio io, Bill Kaulitz, vent’anni, 1.83 di altezza e 50 kilogrammi di peso – cinque di ciccia e quarantacinque di lacca, a detta di Andreas – alle 19.00 del quattordici Febbraio, davanti allo specchio, nell’intento di spalmare omogeneamente – parola sconosciuta nel mio vocabolario – un fondotinta, per coprire l’ammasso di brufoli, teneramente sbucato sulla mia nivea pelle, a testimonianza dell’abbuffata delle rimanenze dei dolci della Befana? E, ovviamente, non mi sto facendo bello per hobby o per la felicità degli occhi di Kasimir – che no, non è una dolce fidanzatina dal nome ostrogoto, ma un gatto della stazza di un cane – ma perché il signorino qui presente deve uscire. E, precisamente, deve uscire con tre coppie di amici, felicemente innamorate e pomicione, mentre il medesimo, ovviamente, è il solito single a S. Valentino.
Sinceramente, non ricordo come sia riuscito a farmi convincere. È stato Andreas, sicuro. Ha attaccato la scusa dell’eroe-socio che non lascerebbe mai e poi mai il suo migliore amico in balia di un gatto e di una scorpacciata nervosa di nutella e cioccolata alle nocciole – la mia preferita, la causa dell’asilo nido sulla mia fronte in questo momento. Che poi, assolutamente ridicolo che sia stato proprio Andi ad avanzarmi l’offerta; lui che, nel lontano 2006, ha avuto il fegato di lasciarmi il tredici Febbraio perché accortosi della sua non-omosessualità – e di un’erezione repentina alla vista delle movenze sensuali di Sabrina il giorno prima, la biondona-tettona-bellona che sarebbe diventata l’amore della sua vita, con la quale è ancora fidanzato.
Effettivamente, sono stato decisamente sfortunato con le mie storie. Essendo bisessuale – tendente all’omo, considerando che l’ultima ragazza l’ho baciata quando avevo quindici anni – ci si aspetterebbe che le possibilità siano maggiori. Be’, non è assolutamente vero.
La mia ragazza, quella dei quindici anni, mi ha lasciato proprio perché nel doppio fondo del cassetto della mia camera ha trovato una foto pomiciona di me e David, una vecchia fiamma. Comunque, quella sera la mia personalità da diva ha prevalso quella del fidanzatino offeso, perché – invece di disperarmi per l’addio appena avvenuto - ho urlato come un’aquila un: “Che cazzo rovisti nei miei cassetti?”, il quale mi ha silurato anche il bacino di addio. Non è stata una gran perdita comunque; nulla in confronto a quella di David, il quale – quasi alla stregua di Andi, se non oltre – si è azzardato a mollarmi sotto il vischio, dopo un anno di fidanzamento e porcate annesse – senza arrivare al passo estremo però. Cristo, ma fallo due metri più in là! Invece il genio ha avuto la bella idea di dare il suo Auf Wiedersehen davanti a mezza scuola, con Marcus che, dopo aver goduto per due buoni minuti della mia faccia sbattuta, ha pensato bene di stuzzicarmi con un: “Kaulitz, baciati i Nargilli”¹. Il naso rotto e una volata all’infermeria si son trasformati in una vendetta favolosa.
L’ultima batosta l’ho ricevuta giustappunto qualche mese fa, esattamente alla fine dell’estate. Si chiama Max, ed è il nero più sexy ed eccitante di tutto il quartiere. Chiunque lo veda passare per strada pensa sia una specie di sex-symbol per i locali riservati alle casalinghe con sete d’orgasmo o alle pensionate alla ricerca del grande brivido; Max invece è un adorabile gay, che lavora in un negozio per abbigliamento infantile, un’occupazione decisamente … gay, appunto. Oltre a coccole, baci da stupro e una dolcezza disarmante – una di quelle che non ti aspetteresti mai da un omone con i capelli afro e due metri d’altezza, ex campione di basket – con Max ho trascorso una delle notti più calde ed erotiche della mia vita, di quelle che Andi, al confronto, è un incapace alle prime armi con un vermicello al posto del pendolo – e Max, essendo nero, si sa … ha qualcosa in più. Vi risparmio i particolari, dato che i contenuti non sono adatti ad un pubblico minore di diciotto e a persone con problemi di cuore – ed il bypass non vale!
Peccato però che la cosa non sia durata più di qualche mese. Peccato doppio il fatto che la cara bestia mi abbia mollato dicendomi che ero troppo donna per lui. E questa, decisamente, è stata una delle umiliazioni più grandi della mia vita.

Un’ora dopo

«Principessa?»
Il clacson, un appellativo da Walt Disney e l’orologio segna le … otto e un quarto! Dio, è tardissimo!
Prendo la cinta, il collarino, il giubbotto e va- le chiavi! Prendo le chiavi, le metto nei pantalo- nei pantaloni? Chiudo la porta … Cristo, la cinta è dentro!
«Belle?»
«Arrivo, Bestia!»
Due mandate giù e due sopra, che si fotta questa porta blindata, come se dentro nascondessi chissà quale tesoro. Be’, effettivamente dentro ci sono gli smalti e la limetta per le unghie con gli strass …
«BILL!»
«Al diavolo!»
Scendo le scale a due a due – ed è un evento che non mi sia almeno fratturato la mandibola, avendo la leggiadria di un ippopotamo -, arrivo in scivolata sul pianerottolo e mi sfracello sul portone.
Se mi sono rotto un’unghia mi ammazzo.
«Eccolo!»
Faccio la mia entrata regale su di un tappeto rosso e le ovazioni generali …
«Peee! Bill, non ho intenzione di rompere il clacson per la tua rilassata passeggiata sul ciottolato del vialetto.»
Andreas, il solito delicato. È imbacuccato in un piumino nero traslucido che farebbe invidia a quei tizi che si fanno le foto con un ciuccio in bocca su Facebook – roba che io quella cosa gommosa la sputavo a due anni, ho sempre preferito roba vera -; Gustav è elegantemente seduto dietro, come se tutto questo trambusto non tocchi per niente la sua tranquillità e quella di Katrin, la sua ragazza, docilmente poggiata alla sua spalla, anche lei, persa nei suoi pensieri. Io ed Andreas li sfottiamo spesso, sembra che quei due preferiscano stare in silenzio e “guardare l’infinito”, piuttosto che imbucarsi in uno dei due appartamenti liberi e praticare un po’ di Free style da stanza da letto. Stile totalmente diverso invece è caratteristico degli altri due piccioncini della serata, Georg e Ana – il risucchio dei loro baci mi arriva chiaro appena apro la porta e, ovviamente, l’idiota che deve seder loro accanto sono io.
«Almeno abbiate la decenza di salutarmi!» dico accomodandomi sul sedile del furgoncino di Andi.
I due si scollano generando un suono degno del più saldo ottura lavandini, mi guardano come avessi due antenne al posto della cresta e, con l’aria del tutto inebetita, scollano un: «Ciao!» prima di ricominciare a mangiarsi a vicenda.
Orribile, decisamente terrificante.
«Non dici dove andiamo?» chiede Sabrina accendendo la radio, tendendo di smorzare gli schiocchi che provengono dal retro.
«Al ‘Disativè’» risponde Andreas.
Un attimo di silenzio – al quale prendono parte anche i due pomicioni – segue le sue parole, prima che Katrin interrompa con un: «E che diavolo di posto è?»
Brava, brava! Avrei fatto la stessa domanda – seppur con un accento un po’ più gergale, della serie: “Ma che cazzo di fottuto posto è?”.
«E’ un locale» continua il biondo «sta in centro, ci metteremo un po’.»
«Come mai questo nome strano?» domanda Katrin.
«Oh, è una storia divertente» Andreas e Sabrina si scambiamo un’occhiata ilare prima di lasciarsi sfuggire una risata sommessa.
«Ci rendete partecipi?» chiedo, alterato.
«Sì, scusate» mi risponde la bionda «è una spiegazione un po’ particolare. Si dice che il proprietario abbia mescolato alcune lingue.»
«Tutte tranne il tedesco» sogghigna Andreas.
«Già» riprende lei «in termini inglesi, è un gioco di parole tra Disco e Alternative, capirete perché. Inoltre “disattivo”, dovrebbe essere questa la giusta pronuncia, in italiano significa qualcosa di fiacco, non partecipe, e probabilmente è abbastanza ironica come interpretazione perché quel locale è tutto meno che moscio; ed infine, l’accento all’ultimo c’è per dare un tocco francese al tutto.»
«Sta fuori questo!» esclama Georg.
«È indubbiamente originale» mormoro.
«Decisamente» mi risponde Andreas.
Katrin e Gustav tornano alla loro calma piatta, mentre i miei vicini di sedile riprendono la loro performance da ottura lavandini.
«E come si chiama il proprietario?»
«Cazzo ti frega come si chiama il proprietario, scusa?» risponde acido Andreas.
«Ei, modera i termini!»
«Da che pulpito!» interviene sommessamente Gustav.
«Gus, fatti i cazzi tuo-»
«Ragazzi!»
Katrin può essere tanto buona e cara e … silenziosa; ma prova solo ad intaccare il suo nirvana e ti renderà il timpano una membrana spappolata.
«Piantatela di fare i bambini. Andi, rispondi bene; Gus, non metterti in mezzo; e Bill … »
Alzo lo sguardo fronteggiando il suo.
«Piantala di fare la diva.»
Trascorrono alcuni minuti silenziosi mentre ognuno di noi tenta di ricomporre il suo orgoglio. Kat è una nana e non è nemmeno bellissima, ma ha un carattere deciso ed è molto – troppo – intelligente. È un po’ la mamma del gruppo, e tutte le volte è sempre lei a fare le ramanzine.
«Non lo so il nome del proprietario» risponde Andreas dopo un po’ «ma c’è una specie di leggenda su di lui. Si dice che sia un ragazzo della nostra età, non un vecchione che si lecca i baffi nel contare i soldi guadagnati; gli piace lavorare, stare in mezzo alla gente … una volta fa il cameriere, l’altra il barman, l’altra ancora improvvisa una coreografia sul cubo; ma nessuno lo ha mai visto.»
«Non credi sia tutta una cazzata?» chiedo.
«Non penso lo sia» risponde Sabrina «io e Andreas ci siamo già andati, ed è un locale … spettacolare! Ora lo vedrete, rimarrete sorpresi. Si vede che è lo stile di un giovane, a nessun adulto verrebbero mai idee simili.»
«Del tipo?» domando incuriosito.
«Musica classica, performance hip-hop, spogliarelli di ambo i sessi, luce psichedelica accompagnata dalla morte del cigno. È …»
«Fico!» esclama Ana resuscitando dal Saliva party.
«Sì, decisamente! Per non parlare della cioccolata alle nocciole … »
«Cioccolata alle nocciole?» esclamo, con tanto di occhi a cuoricino.
«Sì Bill, abbiamo pensato a te. Sembra che il proprietario abbia un debole per questo.»
«Interessante» mormoro, quasi tra me, sogghignando.

«Questo posto è stra-fico!» urlo, incapace di contenermi, entrando per ultimo dentro al locale.
Sabrina e Andi sorridono e si godono lo spettacolo delle nostre facce inebetite, illuminate dalle luci psichedeliche. A colpo d’occhio, la cosa che più mi colpisce è la pista. È enorme, e mi sembra anche un aggettivo limitato per descriverla. È un cerchio immenso, diviso in quattro parti; in ognuna di esse, c’è un gruppo di persone che sta … ballando, credo, anche se non si capisce. C’è chi abbozza un valzer, chi si concentra in movimenti da braker, chi improvvisa un tango e chi si muove in stile assai ‘disco’; ma la musica …
«La musica non c’è!» esclama Georg confuso.
«No» risponde Sabrina «attacca alle venti e trentasette.»
«Venti e trentasette?» domanda Gustav sconvolto «è una cosa fuori dal comune.»
«Fuori dal comune? Gusti, esci dal guscio, siamo al “Disativè”. Qui, il normale, non lo troverai mai.»
Sorrido a quest’ultima affermazione di Andreas. Continuo l’ispezione osservando tutto quello che mi circonda. È così caotico e pieno che non riesco a soffermarmi sui particolari, ma soltanto guardare il tutto, riuscendo a captare qualche immagine di sfuggita. C’è un gruppo di amici che gioca a poker, due ragazze che chiacchierano mentre si fanno le unghie – le unghie? -, diverse coppie che o si baciano o parlano cinguettando smancerie agli angoletti, un’ala sulla sinistra che assomiglia ad un ristorante di alta classe; un ragazzo passa avanti a me e mi rendo conto che non è un tipo che è stato annaffiato troppo, come la pianta di qualche sfigato personaggio delle favole, ma sta camminando sui trampoli! Dopo il suo passaggio riesco a scorgere una donna che sta accarezzando un cane ed un transessuale che guarda in quella direzione con sguardo famelico – e qualcosa di malsano dentro la mia testa mi suggerisce che sta bramando il cucciolo, e non la ragazza. Una coppia di amici si sfida al pin-pong mentre …
«Oh mio dio!» grida Katrin terrorizzata.
«Cosa c’è?» le chiedo preoccupato.
Dirigo il mio sguardo verso la direzione che sta indicando e spalanco la bocca. Gay o no, questo è uno spettacolo troppo provocante per rimanere indifferenti.
C’è una donna in una gabbia, completamente nuda, seduta tra quelle che sembrano enormi foglie di palma, o di un qualche albero simile trovabile soltanto nelle foreste. Ha un viso dolcissimo, ed è un paradosso magnifico osservare quel concentrato di grazia nel contesto in cui è posto – perché la ragazza, di pudicizia, non ne mostra per nulla, o quasi. Un seno è ricoperto da quella che sembra essere un’onda scarlatta dalle sfumature splendide, la quale altro non è che i capelli della ragazza. L’altro seno è scoperto, tranquillamente esposto allo sguardo famelico di coloro che l’avvistano, uomini o donne che siano. La zona pubica, invece, è abilmente nascosta da quello che sembra essere un serpente. Rabbrividisco al solo pensiero, anche perché la testa del rettile è docilmente poggiata sull’ombelico della ragazza.
«È finto, vero?» domando un po’ preoccupato.
«Ma certo, Bill!» mi risponde Andreas «qui, a differenza di altri posti, un po’ di dignità c’è. È un luogo fatto per attirare tutti e disgustarne altrettanti, è un posto nel quale trovi di tutto o – a seconda dei punti di vista – non trovi nulla di nuovo. In fondo, se ci fai caso, è soltanto un concentrato di vita, quotidianità, bizzarria, perversione e normalità; ma il proprietario non ha fatto altro che amalgamare tutti gli aspetti e le prospettive della vita stessa. C’è chi cerca soldi …»
Mi dice indicandomi il tavolo dove la bisca è in corso.
«Chi compagnia»
Un ragazzo sorride timidamente ad una mora seduta vicino a lui, e lei ricambia arrossendo.
«Tranquillità»
Due ragazze chiacchierano allegre, abbandonandosi di tanto in tanto a risate sguaiate.
«Ed anche sport; fuori – dopo se vuoi ti accompagno – c’è un campo da golf ed un altro spazio più piccolo dove improvvisano da partite di calcio ad incontri di tennis. C’è tutto Bill, ma potresti benissimo trovarlo fuori di qui, ma mai tutto insieme capisci?»
«Sì … » rispondo ancora basito dalla spiegazione.
«È una genialata» sospira Katrin ammirata.
«Decisamente» conferma Sabrina.
Segue un attimo di silenzio nel quale tutti ci perdiamo nell’osservare questa miriade di realtà che ci vorticano intorno, e nell’istante in cui decido di parlare di nuovo, parte la musica².
«E questa da dove sbuca fuori?» domando perplesso.
«Aspetta e vedrai» mi risponde Andreas.
Come attratti da un qualcosa, tutti quelli che – ballavano? La parola giusta penso sia ‘ciondolavano’ – sulla pista, iniziano a sciamare liberandola. È una base molto, uhm, come definirla, tunz? Inspiegabilmente – o molto più probabilmente un motivo c’è ma sono io che non ho afferrato – le persone nella discoteca urlano, incitando un qualcuno che si sta posizionando sulla pista da ballo. La musica improvvisamente cambia, lasciando spazio a quella che mi sembra un qualcosa di già sentito. Mentre osservo il ballerino centrale, l’unico vestito in bianco – un ragazzo completamente coperto dal cappuccio della felpa extra-large e la visiera di un cappellino – riconosco la musica.
«L’inverno di Vivaldi?» grido verso Andreas per farmi sentire, ma lui è troppo preso dallo spettacolo.
Ormai rassegnato a non ricevere risposta, mi volto ancora verso la pista, rimanendo stupefatto. Nel momento in cui giro lo sguardo, ritrovo il ragazzo avvistato prima tre metri più alto, mentre sta vorticosamente compiendo un giro della morte in aria, per poi tornare perfettamente in piedi e riprendere il pezzo dei compagni. Mentre il tipo stava felicemente volteggiando, non mi sono reso conto del fatto che la musica sia cambiata, e che le luci psichedeliche da discoteca abbiano cominciato a fare luce sui ballerini.
Sono un qualcosa di spettacolare, meraviglioso da vedere. È un concentrato di sincronia ed energia, il tutto sottolineato dai toni della base. La squadra è forte, ma il ballerino centrale surclassa i compagni accentuando i movimenti con le smorfie della bocca e la fermezza nei gesti – e giurerei di aver visto un piercing sul lato sinistro del labbro inferiore. Non mi rendo conto nemmeno della fine del pezzo, o del fatto che le persone abbiano già cominciato a rioccupare la pista, tanto sono preso nell’osservare quelle labbra. Il ragazzo sorride un’ultima volta, e scompare tra la folla.
«Fico quello!» sbraita Ana con la sua immancabile femminilità.
«Ei! Non gli si vede nemmeno la faccia!» sbotta Georg risentito.
«Be’, è innegabile» rincara Katrin «vero Bill?»
«Com- cos- … è?»
Le tre coppiette scoppiano a ridere, come se avessi raccontato la barzelletta del secolo, e ciò non fa altro che stizzirmi ancora di più.
«Intento ad osservare il bel maschione?» maligna Sabrina.
«Anche se fosse, non sono cazzi vostri.»
Mi volto adirato, non avendo una meta in particolare, ma riesco – purtroppo – a percepire un:
«È abbastanza umiliante essere il solito single a San Valentino.»
Mi fermo, chiudendo i pugni e serrando la mascella, indeciso se andare avanti e fottermi della cattiveria o tornare indietro e donare amorevolmente un gentile cazzotto a tutti – ragazze incluse – non essendo riuscito a capire chi fosse il simpaticone.
«Bellezza, hai intenzione di fare la colonna per tutto il resto della serata o puoi scostarti?»
Rosso e furibondo – mi sorprendo che ancora non abbia cominciato a sbuffare il fumo dalle orecchie – mi volto, incrociando lo sguardo con un nanetto sui diciassette anni che mi squadra malizioso – ancora convinto dell’assenza ciondolante tra le mie gambe.
«Uno: non sono una ragazza, e anche se lo fossi non ti dovresti azzardare a parlarmi così; due: io posso fare la colonna quanto cazzo mi pare e tu saresti costretto al massimo a fare da basamento; tre: non rompere il cazzo al prossimo come non lo faresti con te stesso!»
«Ma questi non sono … »
«I dieci comandamenti di Mosè? No, stronzo, sono “I principi del quieto vivere di Bill Kaulitz” e fai meglio a filare e non incrociare più la mia strada se non vuoi ritrovarti spiaccicato sul pavimento, klar?»
Il nano mi fissa stranito per poi eclissarsi.
Nemmeno un brivido di paura? Uno sguardo atterrito? Una perdita giallastra nelle mutande?
No, niente di niente.
«Ho assolutamente bisogno di cioccolata.»

Io odio questo posto.
Sono riuscito a spillare soltanto un bicchiere d’acqua perché la tipa non mi ha dato il tempo di ordinare anche la barretta di cioccolata. Sono eoni che attendo un fottuto barman, un cameriere, un qualcuno con la faccia da lavoratore o con la maglia con scritto Staff. Nulla di nulla. O, più che altro, tutto di tutti. Perché dietro questo bancone c’è stato un via vai indescrivibile e nessuno mi ha mai degnato di uno sguardo, ma avevano tutti la faccia da ospite, e non da dipendenti.
Da un po’ però si è calmato, non è passato più nessuno, tant’è che mi sono incantato ad osservare le persone in pista. La musica, in pochi minuti, è cambiata tantissime volte, toccando tutti quanti gli stili. È una cosa interessante, perché non ti stufi mai di ascoltarla, o di ballare – per chi ha un minimo di equilibrio, dato a chiunque animale dall’insuperabile madre natura; non come me insomma. È bello essere circondati da un qualcosa di così …
«Duro?»
Eh?
«No, non è assolutamente duro.»
Alzo gli occhi sconvolto da questa conversazione così oscena, fissando avanti a me – dalle parte che dovrebbe appartenere allo staff – un ragazzo decisamente … particolare. Ha dei cronrar - o come minchia si chiamano – neri, i quali scoprono completamente il viso. Bello, decisamente. Mi assomiglia molto, se soltanto non mi restaurassi ogni volta con stucco e vernice. Ha degli occhi marroni e profondi ed un nasino così carino che vien da prenderlo a morsi, per non parlare della bocca, la quale – da quando la sto fissando – non ha mai smesso di essere tirata da un sorrisetto sghembo. La lingua fa capolino ogni tre secondi, come se il ragazzo fosse nervoso, e va a stuzzicare insistentemente una pallina metallica al lato sinistro del labbro. È adorabile e provocante allo stesso tempo; tra l’altro ha dei lineamenti splendidi, sembrano plasmati con la cura che utilizzavano gli scultori per i loro grandi eroi. Un David in carne ed ossa, insomma.
«Be’, a me lo sembrava» sento dire dietro di me.
Improvvisamente comprendo che il ragazzo non sta intraprendendo una conversazione ambigua con la cresta dei miei capelli ma, evidentemente, lo sta facendo con qualcuno dietro di me.
«Ti dico di no» ribadisce il moro «sembra chissà cosa, ma sotto sotto è un mollaccione.»
Ma cosa cazzo stanno dicendo?
«Mi fido sulla parola» dice la voce affievolendosi.
Siamo rimasti io e il tipo, ed io mi sto chiedendo dove ho già visto quelle labbra, purtroppo, non mi rendo conto che le sto fissando intensamente.
«Devi ordinare?» mi chiede il ragazzo tranquillo, mostrando una calma indifferenza al mio sguardo da foca monaca in calore.
«Ehm no, cioè sì, insomma …»
Vergogna, vergogna, vergogna.
«Ei» mi dice il ragazzo alzandomi il mento con un dito.
Datemi un defibrillatore, all’istante.
«Ti ho fatto una domanda, non ti ho chiesto di toglierti le mutande e buttarle in mezzo alla folla mentre osservi uomini impazziti che le azzannano.»
Corrugo le sopracciglia all’ultima affermazione, afferrando soltanto l’ultimo concetto, dimenticando al momento il resto.
«Uomini?»
«Be’, con quel bel faccino ti verranno tutti dietro» mi dice, mentre è intento a pulire dei bicchieri.
«Ma veramente io sono … »
«Un ragazzo? Sì, lo so» afferma con non-chalance.
«Ah.»
Silenzio.
«E allora perché … »
«Perché so riconoscerlo un gay quando lo vedo.»
Spalanco la bocca mentre lo osservo, impotente, sparire dietro la colonna al centro di questo bancone circolare.
Fisso inebetito il pavimento, tentando di ricollegare i passaggi, provando a capire cosa ho fatto, cosa ho sbagliato, come …
«E che cazzo!» strillo arrabbiato e mortificato al nulla.
«Uhm, grazie» risponde il moro che è tornato davanti a me.
«Ma … no!»
Il ragazzo comincia a ridere di gusto, asciugandosi addirittura le lacrime formatesi intorno agli occhi.
Cristo, non pensavo di essere un pagliaccio.
«Lo trovi divertente?» domando un po’ incollerito, ritrovando la mia sfrontatezza, momentaneamente scomparsa precedentemente.
«Sì» risponde sincero l’altro «mi fa ridere che tu sia così impacciato.»
«Be’, in tre secondi mi hai messo k.o, ci mancava soltanto che aggiungessi che porto biancheria femminile.»
Oh mio Dio.
Alzo gli occhi sconvolto fissandoli nei suoi, persi tra l’ilarità precedente e la sorpresa.
«Fai finta di niente» prego con una vocina alla stregua di un bimbo di quarta elementare.
«È originale» aggiunge sorridendo.
Mi allontano dal suo volto, comprendendo con un po’ di ritardo quanto ci siamo avvicinati l’un l’altro.
«Ad un bel giovane come te non dovrebbe schifare un gay al limite della transessualità, con una voce da camionista ed una grazia da diva, che porta biancheria femminile?» domando sfrontato alzando un sopracciglio e bevendo l’acqua rimasta.
«No, è eccitante.»
«COS-?» non finisco di parlare, dato che un rivoletto d’acqua ha deliberatamente deciso di finire nella mia trachea.
Quando ritorno a respirare come un normale essere vivente, una ragazza dal viso preoccupato mi sta fissando intensamente.
«Credo sia apposto Margarette» sento dire dal moro.
«Poteva fare qualcosa!» lo accusa lei risentita.
«Ero intento a pensare ad altro» ammette, quasi colpevole.
«Be’, capo» continua lei, questa volta sussurrando «è meglio che stia attento ai suoi clienti.»
La ragazza va via, ed io la fisso inebetito ragionando sulle sue parole, mentre ancora mi massaggio la gola.
«Capo?» gli chiedo sbalordito.
Il ragazzo sbuffa indispettito alzando gli occhi al cielo, per poi allungare una mano verso di me.
«Tom Trumper, capo del Disativè.»
«Cazzo! Il capo!»
«Shh!» mi fa tacere Tom premendomi una mano sulla bocca e avvicinandosi al mio viso.
Preso dal panico, glie la mordo.
«Ei!» si lamenta sorpreso «non avevo intenzione di violentarti.»
«Scusa» pigolo imbarazzato.
«No, scusami tu» aggiunge «è soltanto che non voglio si sappia in giro, klar?»
«Klar» rispondo turbato «ma … perché?»
«Be’ …»
Tom si guarda intorno e poi risposta il suo sguardo su di me.
«Senti, che ne dici se ci spostiamo in un luogo più tranquillo? Tanto non c’è molto casino stasera, i ragazzi possono cavarsela benissimo. Andiamo di sopra, ti va?»
«Di sopra?»
«Sì, ci sono altre sale, oltre ai campi sportivi fuori.»
«Cavolo!» esclamo ammirato «è enorme questo posto.»
Tom sorride ed esce dal bancone.
«Vuoi della cioccolata? Sopra c’è tutta una sala per consumatori.»
«Consumatori di cosa?» chiedo.
«I clienti della mini-cioccolateria che sta su.»
«Cosa?»
«Sì!» mi risponde lui sorridendo «ma non sei mai venuto qui?»
«No.»
«Be’, allora a maggior ragione sali con me.»
Mi guardo intorno tentando di scorgere tra la folla i miei amici, magari si staranno preoccupando …
«Devi avvertire qualcuno?» mi chiede. Sembra quasi un po’ deluso «il tuo ragazzo si starà chiedendo dove sei.»
«Veramente sono venuto con dei miei amici, tre coppie, non puoi capire … una noia mortale.»
«Solito single a San Valentino?»
«Già.»
«Be’, siamo in due allora» afferma, quasi contento di quest’asserzione che meriterebbe un corteo funebre.
«Che ne dici, me ne frego?» gli chiedo, indicando Georg e Ana particolarmente intenti a fare di tutto tranne che ballare.
Tom non mi risponde, ma mi restituisce uno sguardo piuttosto eloquente.
«Cioccolata?» domanda.
«Cioccolata.»

«Non posso crederci» bisbiglio sbalordito.
«Be’, ci sei dentro … come hai detto che ti chiami?»
«Bill.»
Probabilmente non mi ha neanche sentito, ho parlato a voce talmente bassa che giusto gli animali dotati di ultrasuoni possono aver percepito qualche gorgoglio.
Questa è la saletta più intima, romantica, carina, piccola, dolcissima che abbia mai visto.
È minuscola ed enorme allo stesso tempo, è arredata in maniera tale che ognuno abbia il suo spazio e, di conseguenza, riceva l’illusione di avere il locale tutto per sé; sono tutti tavolini da due, occupati – ovviamente – da coppiette. L’arredamento è … caldo; ci sono dei particolari che rendono il muro non una superficie liscia e ostile, ma un qualcosa di amichevole che sembra abbracciarti. Ci sono dei fiori secchi che pendono dal soffitto, disegni Maya sulle pareti e mobili di legno scuro. La luce, poi, fa la sua stupenda parte: ci sono delle lampadine strane su ogni tavolino, ricoperte da un foglio colorato, diverso per ogni tavolo. Quella mia e di Tom è arancione, ed è buffo che sia capitato proprio il mio colore preferito.
«Ti piace?» mi chiede, mentre prende la sua tazza di cioccolata.
«Decisamente» rispondo, questa volta più chiaramente.
La mia agognata tavoletta di cioccolata alle nocciole è ancora intatta, sopra al piattino decorato a mano, con tanto di rosellina rossa poggiata su di un lato; scruto interessato gli altri tavoli, notando che nessuno ha il bocciolo. Il pensiero che sia stato Tom ad avere quest’idea – per me soltanto – mi elettrizza tantissimo.
«I miei amici mi hanno detto che anche tu hai una passione per la cioccolata alle nocciole» dico, iniziando a scartare il mio dolce.
«Sì» risponde lui sorridendo «diciamo che questa sala l’ho costruita pensando solo a me.»
«Un pensiero un po’ egoistico per qualcuno che gestisce un locale.»
«Sì, un po’» ammette.
Passa qualche altro secondo, scandito dal mio sgranocchiare, mentre cogito su alcuni particolari di tutta questa situazione.
«Come ti è venuta l’idea?» chiedo all’improvviso.
«Di cosa?»
«Di questo!»
Tom mi scruta – a ragione – con una faccia perplessa.
«Sto parlando del locale Tom» insisto «tutta questa … mescolanza, questa molteplicità. Non puoi esserti svegliato una mattina pensando: “Oh, voglio creare un posto dove ammucchiare tutte le tendenze di questo mondo.”»
«Be’, effettivamente è stato un po’ così» risponde, posando la tazza.
«Non ci credo!»
«Sul serio.»
Gli restituisco uno sguardo assai scettico.
«Ti spiego» continua lui, forse un po’ intimidito «ho avuto la fortuna di avere dei genitori pazzi quanto me, che mi hanno sempre supportato, qualsiasi idea folle avessi. Mi ricordo che, compiuti i diciotto anni, ero entrato in qualsiasi posto, qualsiasi locale, ma nessuno mi aveva entusiasmato più di tanto; non avrei mai detto: “Cazzo, qui ci porterei tutta la città.” Quindi, mi è cominciata a nascere un’idea, che è partita un po’ per gioco.»
«Vai avanti» bisbiglio, sempre più interessato al racconto.
«Ho affittato questo edificio, che è una vecchia fabbrica abbandonata. Ci facevano i rave-party, ma io ero convinto che un posto così intrigante non dovesse ospitare delle feste scadenti. Così la comprai.»
«Sei un pazzo!» esclamo ridendo, rubando un altro pezzettino di cioccolata.
«Sì, decisamente, e mio padre è peggiore di me. Mi aiutò a sistemarla, a renderla almeno vivibile. Poi cominciarono a venire le idee.»
«Vuoi dire che tu hai comprato un podere a pezzi quando non sapevi neanche cosa avessi dovuto farci?»
«Esattamente.»
«Devi avere soldi per fare una cazzata del genere.»
«Diciamo che i miei hanno un buon lavoro e un buon passato alle spalle.»
«Allora cominciamo a ragionare.»
Tom sorride e mi fissa stranito, mentre gli rubo la tazza di cioccolata e assaggio.
«Buona!» esclamo, dopo averla riposata, battendo le mani come un bambino.
«Sei sporco qui» dice, ridendo.
«Dove?»
«Qui!» ripete, indicandomi il lato destro del labbro.
Tiro fuori la lingua ma, per quanto possa tentare di allungarla, non arriva al punto incriminato.
Tom, intento ad osservare con attenzione la mia bocca, ride sommessamente.
«Dovrei vergognarmi per farti così ridere di me?»
«No» risponde, ancora sbuffando «sei carino.»
Arrossisco repentinamente, ma Tom non sembra minimamente colpito dal momento imbarazzante.
Tento ancora con la lingua, ma nulla, è evidente – dalla faccia compiaciuta di Tom – che non sono riuscito a pulirmi.
«Non sarai il cugino di Mister Fantastic, ma nemmeno un campione di intelligenza.»
«Ei! Non è ve-»
«Facciamo prima così» dice lui interrompendomi.
Non riesco a capire a cosa si riferisca quel “così” che noto Tom allungarsi in avanti, avvicinando la mano al mio volto e sfiorando – lievemente, con delicatezza – le mie labbra, per poi premere sul lato destro.
Lo guardo negli occhi incredulo, mentre incateno il mio sguardo al suo.
Tom, impassibile, si porta la mano alle labbra, succhiando la cioccolata rimasta sulle sue dita.
«Così sei pulito, no?» mi domanda, rimarcando la dose per la giornata mondiale dell’ “Eccitiamo Bill”.
«S- sì» balbetto in risposta.
Notando la mia incredulità, ruba la mia tavoletta dal piattino e pigola un “Posso?” da far addolcire chiunque.
Addenta la cioccolata, chiudendo gli occhi gustandone il sapore. Sembra nel bel mezzo di un orgasmo, e non lo biasimo perché la cioccolata, dopo il sesso, è la cosa più allettante che io conosca.
«Punto debole?» gli chiedo, indicando la tavoletta.
«Non puoi capire» mormora restituendomela «hai presente che i bambini smettono di mangiare qualcosa, se poi ci si sentono male?»
«È un classico.»
«Be’, io sono l’eccezione che conferma la regola» afferma sorridendo «avrò avuto un’indigestione un’infinità di volte, ma mai – ti giuro – mai, ho smesso di mangiarla.»
«E fai bene!» esclamo.
«Facciamo un brindisi?» mi chiede dopo un po’.
«E con cosa?»
«Con quello che abbiamo» risponde.
Un po’ interdetto, afferro la mia tavoletta alzandola avanti agli occhi.
«Alla cioccolata!» esclamo.
«Alla serata!» mi risponde Tom.
Gli sorrido, lusingato dal brindisi, e lui lo fa a sua volta.
È bello, sul serio. Simpatico e geniale.
Agli occhi degli altri, per la prima volta, non sembro il solito single di S. Valentino.
«A cosa stai pensando?» mi domanda il moro, catturato probabilmente dalla mia faccia inebetita.
«Che per la prima volta nella mia vita le persone attorno a me non pensano che io sia uno sfigato.»
«E questo perché?»
«Perché sono con te» rispondo sinceramente.
«Potrebbe valere lo stesso per me» azzarda lui.
«Ma non dire cazzate! Tu sei il capo di un locale meraviglioso, avrai un miliardo di gente ai tuoi piedi, hai modo di osservare tutto e non essere giudicato … »
«Come puoi dire una cosa del genere?»
«Ma nessun potrebbe parlare male di te!»
«E perché dovrebbero farlo di te invece?»
«Non lo so» sussurro, e dal mio tono traspare tutta la mia frustrazione «non ne ho idea so soltanto che … »
«Che sei stato bene.»
«Sì.»
«Che mi ringrazi della serata e che vorresti ergermi un monumento in memoria della pazienza avuta.»
«La pianti di leggermi nel pensiero?» domando, apparentemente indignato.
«È colpa tua se sei così prevedibile!»
«E tu sfacciato.»
Ci siamo avvicinati, di nuovo, per la trilionesima volta nella serata. Il calore della lucetta arancione ci riscalda i menti, ma non ne teniamo conto, siamo troppo impegnati a guardarci negli occhi.
«Bill!»
Mi allontano repentinamente da Tom – ed ho ancora una terribile e sublime sensazione di contatto sulla pelle. Ci siamo sforati il naso senza accorgercene.
«Dov’eri finito?» domanda un Gustav trafelato e pallido.
«Uhm, qua sopra?»
«Me ne sono accorto che sei “qua sopra”, ma potevi almeno avvertire!»
«Sai com’è, eravate troppo impegnati a stare per conto vostro da non …
« … accorgerci che eri occupato con il ballerino?»
«Il ballerino?» chiedo, stranito.
«Che fai l’idiota ora?»
«Ma lui non è il ballerino è- »
«Tom, il ballerino, piacere» mi interrompe il moro.
«Piacere mio» risponde Gustav cordiale «scusa se ti porto via la principessa, ma stiamo andando via, e non vorremo perderci pezzi per strada.»
«Sicuro» risponde Tom sorridendo.
«Vi lascio soli» conclude Gustav «Bill, datti una mossa; Tom, piacere di averi conosciuto.»
Fisso imbambolato Gustav che scende dalle scale, per poi guardare il moro dritto in faccia.
«Che c’è?» mi domanda, sentendosi accusato.
«Sei il ballerino?» gli chiedo.
«Be’ … sì?»
«E non me lo hai detto!»
«Mi pareva ovvio» esclama in risposta «e poi che bisogno ce n’era?»
«È che- ma che ne so! È una questione di principio.»
«Ma principio di cosa?»
«Principio … principio d’identità!» esclamo stizzito, non riuscendo a nascondere il divertimento.
Tom ride, è bello quando ride. Incurvo le labbra anch’io, contagiato da quel volto così sereno.
«Sei sporco» mi dice improvvisamente, mentre mi fissa concentrato.
«Che palle! Dove?»
«Qui.»
E stavolta non sono i suoi polpastrelli a sfiorarmi le labbra, ma la sua bocca. La poggia piano, delicatamente, donandomi uno di quei baci così lievi e dolci che ti lasciano appagato ed insoddisfatto allo stesso tempo. E lo sto adorando, veramente.
Si scosta piano, guardandomi ancora. Mi prende la mano, in silenzio, e scendiamo giù per le scale. Arrivati a destinazione, scorgiamo la mia comitiva all’entrata, in attesa.
«Torni domani?» mi domanda, sorridendo ancora.
«Sì» rispondo, anche se ho la macchina dal carrozziere e non so come arrivare.
Qualcosa mi inventerò.
«Dove ci vediamo?» gli chiedo.
«Cercami.»
Sorrido, emozionato alla sua risposta. Tom mi sorride un’ultima volta, e scompare tra la folla.
So già dove andarlo a scovare, domani.




Note al testo:
¹ I Nargilli, per chi non lo sapesse, sono una sorta di insettini dispettosi che – secondo Luna Lovegood, personaggio introdotto nella saga di Harry Potter nel quinto libro – vivono proprio nel vischio.
² Mi riferisco a questa musica, trovata sul tubo. Se rileggete il passo noterete che ho rispettato la melodia.

Credits: Ringraziamento speciale ad Ale, sia per il banner fornitomi, sia per il supporto perenne e la lettura in anteprima. Ti amo cacca *O*
Un grazie alla Nipota, che ha avuto quest’idea meravigliosa e non manca mai <3
A Sorè che ha letto l’anteprima anche se non è fan e tantomeno twincester xD [Love you (L)]
Ed infine alla Auri, che mi ha appoggiata durante la stesura – promesse di torture incluse.

Note finali: Vi giuro che non li volevo far baciare, lo giuro. Ma, mi pare giusto avvertirvi, che questa storia non è stata scritta da me, ma è la figlia della mia ispirazione che se l’è fatta con le margherite, ed hanno usato la mia testa come utero e le mie dita per il parto! Vi rendete conto? È da denuncia, ma credo non sia fattibile u_ù
Comunque, il padre – le margherite u-ù, perché sembrano ragazzine ma sono trans – ha donato il romanticismo, ovvero il bacio che io non volevo scrivere; e la mamma ha pensato al sarcasmo – quello che, una volta, condivideva solo con me -.
Quindi, nel caso non vi sia piaciuta prendetevela con questa coppia abominevole; nel caso contrario, i complimenti vanno a me u-ù

Stupidate alla Puls a parte, grazie veramente per aver letto <3
Tiratemi pomodori o rose, gridate alla mia ghigliottina o alla mia santificazione ma fatelo, per favore, come dico sempre: i commenti sono il pane degli scrittori - o pseudo -, non fatemi stare a dieta.

Puls

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