She feels the real me

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Alexiel_Slicer
view post Posted on 13/10/2012, 15:30





She feels the real me



"Lui cantava, cantava, non faceva altro che cantare, anche se dentro si sentiva male, anche se non ne aveva voglia, lui doveva ugualmente cantare e dare l'idea di stare bene con se stesso, con il mondo, con tutto, soffocando i suoi sentimenti."



CAPITOLO 1 -Bill Kaulitz l'automa-



Fuori il cielo era azzurro e limpido e lui l'osservava da dietro il finestrino della sua auto che, intanto, rifletteva la luce del sole che si infrangeva contro le vetrate degli alti grattacieli disturbando la sua contemplazione.
L'auto si fermò ad un semaforo che segnava il rosso e lui ne approfittò per studiare attentamente una coppietta che passeggiava sul marciapiede: il ragazzo teneva per mano la ragazza che nel frattempo sorseggiava il suo frappè alla fragola. Entrambi ridevano, entrambi sembravano felici.
Sentì una piccola fitta al cuore, ma che nonostante ciò gli fece arricciare il naso, poi l'auto ripartì lasciandosi dietro quella visione.
"Bill a che pensi?" chiese Tom al volante girandosi leggermente verso di lui
"Niente" si limitò a dire rauco con lo sguardo ancora perso fuori dal finestrino.
Tom non replicò e dopo aver riportato il suo sguardo sulla strada continuò a guidare in silenzio. Sapeva che quel "niente" del fratello voleva dire "molto" e forse anche "troppo", ma non voleva insistere; a volte è meglio lasciar qualcuno da solo con i propri pensieri.
Dopo qualche curva l'auto si fermò definitivamente ed entrambi slacciarono le cinture e scesero. Attraversarono il parcheggio ed entrarono in un grattacielo dalla facciata completamente in vetro.
Quando varcarono l'ingresso Bill pensò "Un altro giorno, un altro snervante giorno"; ed era vero: i gemelli ultimamamente passavano le loro giornate lì, in quel grattacielo che ospitava gli studi di registrazione della loro casa discografica. Dovevano ultimare in fretta il nuovo album perchè i fan erano frementi e la data di scadenza per la consegna si avvicinava inesorabile sempre di più. Come se non bastasse loro non erano neanche a metà del lavoro.
Jade, la ragazza della hall, li accolse come sempre con un gran sorriso che Tom ricambiò con un cenno del capo, mentre Bill distratto non ci fece neanche caso.
Una volta in studio trovarono David con il cellulare in mano che posò subito quando li vide:
"Stavo per chiamarvi! Siete in ritardo!" li rimproverò
"Lo sappiamo e scusaci, ma purtroppo la sveglia questa mattina non ha fatto il suo dovere" fu la risposta di Tom
l'uomo li guardò serio per dei secondi poi disse "Va bene, ma adesso mettiamoci al lavoro se no questo album non lo finiamo più!".
Bill entrò nella stanza insonorizzata, indossò le cuffie ed iniziò a cantare, anche se non ne aveva assolutamente voglia.
"No, no! Stop!" interruppe bruscamente David
"Che c'è che non va?" si lamentò il ragazzo sbuffando
"Canta con più enfasi! Con più passione! Mi sembra il coro della chiesa così!"
"Agli ordini" borbottò e riprese a cantare cercando di mettermi quella "passione" che gli era stata chiesta, anzi ordinata. Si, perchè quello era un ordine per lui a cui doveva obbedire e questo non lo sopportava. Lo faceva sentire un robot, una sorta di automa, una marionetta addirittura.
Quel giorno non voleva cantare, quel giorno il suo morale era sotto ai piedi e non si sentiva di intonare quelle canzoni con "passione" ed energia. Perchè doveva farlo? Era solo una grande contraddizione con il suo stato d'animo.
A metà della seconda strofa David gli riservò un'altra interruzione:
"No, Bill! Quella nota falla più alta!".
Il ragazzo annuì.
Si, lui era proprio un automa e più tempo passava li dentro, più si sentiva così: una volta per la testa gli balenò il pensiero di essere persino una macchina per fare soldi. Lui cantava, cantava, non faceva altro che cantare, anche se dentro si sentiva male, anche se non ne aveva voglia, lui doveva ugualmente cantare e dare l'idea di stare bene con se stesso, con il mondo, con tutto, soffocando i suoi sentimenti.
In quel momento, mentre la sua bocca si apriva meccanicamente per cantare, sentì l'irrefrenabile voglia di scomparire, di trasformarsi in una particella d'aria, di diventare invisibile.
"No! Non va! Così è troppo alta" l'interruppe per l'ennesima volta David ed andò così per tutta l'ora successiva. Sempre bloccato allo stesso punto su quella maledetta nota che non voleva saperne di essere intonata e Bill sapeva il perchè: quando lo costringevano a fare qualcosa che non voleva, quel qualcosa gli riusciva sempre male per quante volte potesse provarci.
"Ok, basta! Facciamo una pausa che è meglio...magari dopo esserti riposato sarà la volta buona".
Bill tirò un sospiro di sollievo e senza farselo ripetere due volte uscì da quella stanza.
"Bill io sto scendendo al bar a prendere qualcosa da mangiare, vieni con me?" gli chiese Tom
"No, vai tu e per favore portami un caffè quando sali" disse passandosi una mano sulla fronte
"Ok".
L'unica cosa che voleva adesso era stare solo.
Il ragazzo salì fino al tetto dell'edificio. Lassù soffiava un'aria fresca e i rumori dei motori delle macchine sembravano lontani, quasi irreali. Accese una sigaretta e si affacciò dal cornicione: tantissimi metri lo separavano dalla strada cosparsa da puntini indefiniti che camminavano su e giù frettolosamente.
Si chiedeva cosa facessero quelle persone e dove stessero andando. Avrebbe voluto volentieri scambiare la sua vita con la loro, almeno per un giorno. Avrebbe voluto confondersi anche lui tra quei puntini, avrebbe voluto essere un puntino. Un puntino a fianco ad un altro puntino.
A quel pensiero rise, rise di se stesso. Si considerò stupido perchè per lui non ci sarebbe mai stato un puntino, non ci sarebbe mai stata una ragazza a tenerlo per mano mentre sorseggia il suo frappè per strada.

Le ore si susseguirono e le cose non migliorarono: sempre fermo su quella nota che sembrava deriderlo non volendo uscire dalla sua bocca.
Fuori le luci di Los Angeles già accese illuminavano il cielo scuro sostituendo le stelle.
Salì in macchina per tornare a casa e lasciarsi andare sul letto dove si sarebbe addormentato subito in preda alla stanchezza, ma sulla via del ritorno, ad un anonimo semaforo si fermarono ed un gruppo di ragazze attraversò la strada, in quel mentre una di loro si girò e guardò dentro l'abitacolo, Bill vide le sue labbra muoversi perfettamente nel scandire quelle due parole che fungevano da sbarre alla sua prigione: "Bill Kaulitz" disse.
 
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Alexiel_Slicer
view post Posted on 3/12/2012, 14:15




CAPITOLO 2 -Io mollo!-



Camminava per una delle grandi strade di Los Angeles accerchiato dalle sue body guard in borghese diretto allo studio di registrazione: quel giorno aveva voglia di camminare e di sentire, anche se in senso platonico, il contatto con la gente.
Lungo la strada le persone lo guardavano di sottecchi con la stessa espressione con cui si guarda un fenomeno da baraccone e ormai lui si sentiva così.
Gli dava fastidio essere guardato ed additato come qualcosa di diverso, lui era come tutti gli altri, come tutti i suoi coetanei. Amava il cinema, i pop corn, stare a casa sul divano e guardare un film con gli amici, gli piaceva ancora andare sullo scivolo e l'altalena e se non fosse stato troppo Bill Kaulitz l'avrebbe fatto infischiandose altamente della sua stazza e della sua età, che si suppone fosse superata per certe cose.
Già...perchè lui era Bill Kaulitz e non poteva fuggire, era Bill Kaulitz e anche la ragazza della sera precedente nei pochi secondi in cui attraversava la strada l'aveva chiamato così, l'aveva riconosciuto. Perchè lui per la gente era solo quello, era solo Bill Kaulitz.
Quei pensieri pieni di rabbia e disgusto verso se stesso lo accompagnavano accecandolo fino a non fargli vedere più cosa avesse di fronte tanto da fargli urtare violentemente una ragazza che veniva dalla direzione opposta, facendola cadere a terra.
"Tutto bene?" le chiese aiutandola ad alzarsi
"Si" rispose in un soffio lei con lo sguardo basso e perso nel vuoto
"Scusami non ti avevo vista"
"Non fa niente...il mio violino dov'è? Lo vedi?" gli chiese preoccupata guardandosi attorno, ma Bill aveva l'impressione che non stesse guardando veramente
"Ecco qui" disse il ragazzo raccogliendo lo strumento protetto nella sua custodia di pelle nera
"Grazie" mormorò la ragazza con un lieve sorriso e se ne andò.
La guardò allontanarsi per qualche secondo, poi riprese il suo cammino.

Arrivò allo studio dove ad attenderlo c'era già Tom.
Passò 3 ore infernali a provare e riprovare la stessa canzone del giorno prima, sempre a causa di quella nota che non voleva proprio saperne di essere intonata.
Ad un certo punto smise di cantare:
"Basta! Io non c'è la faccio più!" e così dicendo tolse le cuffie ed uscì dalla stanza sbattendo la porta dietro di sè, mentre David lo chiamava a gran voce.
Andò girovagando con una bottiglietta d'acqua in mano per i corridoi di quel piano.
Voleva sprofondare, voleva che una navicella con degli alieni lo rapissero e lo portassero via da quel mondo facendolo scomparire dalla faccia della terra.
Sentiva un macigno enorme sulle sue spalle, tutti si aspettavano qualcosa da lui, quel qualcosa che in quel momento, in quelle condizioni non poteva dare: il meglio.
Tutto quello ai suoi occhi era una folle corsa per arrivare ad un podio costruito sulle macerie della sua vita, dei suoi sentimenti. Mai nessuno si fermava, oltre Tom, a chiedergli "Come stai? Riesci a continuare a correre?".
Erano riusciti a fargli odiare ciò che amava, il suo sogno avverato.
Improvvisamente un debole suono melodioso gli accarezzò le orecchie catturando la sua attenzione e facendogli dimenticare i suoi tormenti, così che decise di seguirlo per scoprirne la provenienza.
Camminò nella direzione del suono finchè questi non si fece man mano sempre più forte e sostenuto, fino ad arrivare ad una delle tante porte bianche, uguali a tutte le altre di quel piano.
Abbassò leggermente la maniglia e spinse la porta quel tanto che gli potesse permettere di sbirciare dentro. Quello che vide lo stupì: la ragazza che aveva urtato quella mattina intenta a suonare il violino.
Restò a guardarla estasiato, mentre si lasciava cullare da quella dolce melodia. Era sorprendente quanta passione ed energia mettesse in quello strumento. Una volta anche lui era così...
Il suono cessò e Bill decise di entrare a congratularsi con lei, dal tronde quella gli serviva anche da scusa: più tardi tornava al suo dovere e meglio era, per lui.
"Hey, ciao" disse amichevolmente accompagnandosi dalla mano
"Ciao...ci conosciamo? La tua voce mi sembra familiare, ma..." non continuò la frase
Bill la guardò in viso e notò che quegli occhioni castani erano velati e fissavano un punto indefinito nell'aria, come se lo attraversassero e in quel momento capì: quella ragazza era cieca.
"Sono il ragazzo di stamattina, quello che ti ha urtato" disse un pò imbarazzato dalla scoperta appena fatta
"Oh, anche tu qui? Sei un musicista?" chiese la ragazza sorpresa
"No...non proprio...comunque sono Bill" si limitò a dire: lei non lo vedeva e questo lo faceva sentire bene, finalmente qualcuno che non l'avrebbe additato, che non l'avrebbe riconosciuto.
"Piacere di conoscerti, io sono Alice" disse con un sorriso
"Sei molto brava con il violino" asserì
"Grazie è da quanto avevo 4 anni che lo suono" rispose Alice compiaciuta
"Davvero? Da così piccola? Sei una sorta di ragazza prodigio allora" ribattè Bill scherzosamente
Alice sorrise "No, è solo che amo questo strumento e coltivo con tutte le mie energie questa passione...ti sarai già accorto che sono cieca...diciamo che il violino mi aiuta a vedere cose che neanche chi ha la vista riesce a vedere".
Il ragazzo rimase intontito di fronte a quell'affermazione, poi una voce proveniente dal corridoio che lo chiamava gli impedì di proseguire quella conversazione.
"Scusami, ma adesso devo scappare...mi piacerebbe parlare ancora con te, magari domani se ci sei..."
"Certo che ci sarò"
"Bene" e detto ciò uscì andando in contro a Tom.
"Ma dove eri andato a finire?" fece questo preoccupato
Bill ignorò la sua domanda e incrociando le braccia sul petto disse "Io li dentro non ci torno più!"
"Non dire scemenze!"
"Tom dico davvero! Ne ho fin sopra i capelli!"
"Bill me ne sono accorto, ma fai l'ultimo sforzo. Finito questo album ci prenderemo una lunga pausa"
"Per me non ci vuole una pausa, ma un'altra vita! Non voglio più cantare, non voglio finire questo album! Voglio solo essere come tutti gli altri ed innamorarmi..."
"Sei il solito testone sentimentale! Tu e le tue manie sull'amore mi farete diventare pazzo uno di questi giorni!" disse Tom passando un braccio attorno alle spalle del fratello per abbracciarlo "Bill quello che ti chiedo è di resistere ancora un pò, se molli adesso un sacco di problemi ci pioveranno in testa..."
"Tom! Maledizione possibile che non capisci?!" urlò esasperato Bill allontanandosi
"Io ti capisco! Ma ci sono cose più grandi di noi!"
"Al diavolo! Me ne sbatto!" concluse lasciando Tom da solo in mezzo al bianco corridoio.
Era arrivato al limite.
Aveva preso la sua decisione, avrebbe mollato e nessuno gli avrebbe fatto cambiare idea.
Quel giorno pensò che sarebbe finalmente stata la morte di Bill Kaulitz il cantante dei Tokio Hotel per essere un nuovo Bill, il vero Bill.


CAPITOLO 3 -Questo non è un gioco, questo è business-



Andò davanti all'ascensore in acciaio e piggiò il bottone per chiamarlo, poi poggiò il palmo della mano contro il muro e chinò il capo.
Sentiva le tempie pulsargli e un grande mal di testa martellargli il cervello. Neanche Tom appoggiava la sua decisione, neanche lui che era suo fratello. L'aveva sempre sostenuto in tutto, anche nelle cose più folli e adesso che gli voltava le spalle, adesso che non gli offriva la sua mano come appiglio in quel mare in burrasca si sentiva più solo che mai. Era solo contro il mondo.
"Bill" si sentì chiamare e riconobbe la voce di David. Non si voltò, continuò a fissare i suoi piedi. "Bill mi dici che stai combinando? Tom mi ha detto quello che vuoi fare...è una pazzia!"
respirò profondamente "Non mi interessa se è una pazzia! Io lascio! Non posso continuare così neanche un giorno di più!"
"Tu non puoi lasciare, hai un contratto!"
"E' solo un pezzo di carta, straccialo!"
"Non è così semplice! Quel pezzo di carta tu l'hai firmato e facendo ciò hai accettato tutte le condizioni che devi rispettare!"
"Se no?" mormorò con un filo di voce
"Se no quelli ti fanno nero! Ti chiameranno in causa e ci saranno un susseguirsi di tribunali, avvocati e giudici! E non potrai neanche vincere perchè sarai in torto sfacciato e ti obbligheranno a pagare un sacco di soldi per i danni e chissà cos'altro!"
Bill diede un calcio contro le porte dell'ascensore "Che se li prendano tutti i soldi! Non me ne frega! Io voglio solo la mia vita!"
"Questo è il mondo dello spettacolo e la fama ha il suo prezzo..."
non rispose
"Senti Bill te lo dico come un padre finisci questo disco e poi ti prenderai la pausa che vuoi, se molli adesso finirai sul fondo e con te trascinerai anche il resto della band...questo non è un gioco, questo purtroppo è business".
David se ne andò e in quell'istante l'ascensore si aprì illuminando con la luce bianca dei suoi neon il volto del ragazzo che andava a fuoco per la rabbia.
Un maledetto pezzo di carta incatenava la sua vita, aveva venduto l'anima al diavolo e l'aveva capito troppo tardi.
Sentì di non essere solo e con la coda dell'occhio intravide una figura, così si girò: dove un attimo prima stava David adesso c'era Alice con gli occhi persi sul pavimento e il suo violino chiuso nella custodia stretto al petto.
"Scusa non volevo sentire la vostra discussione, ma mi sono trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato..." disse mortificata
"Non fa niente" mormorò Bill ricomponendosi "Devi prendere l'ascensore?" le chiese poi.
La ragazza annuì ed insieme entrarono nell'ampio spazio. Bill allungò il braccio per piggiare il bottone del piano terra, ma Alice glielo impedì.
"No, faccio io" e così dicendo le sue dita scivolarono sui tasti dei vari piani su cui vi erano dei puntini, la scrittura in Braille, per poi premere il pulsante giusto.
"Come mai vuoi lasciare?" gli domandò improvvisamente e il ragazzo rimase un pò spiazzato facendo susseguire vari secondi di silenzio "Scusami non volevo intromettermi, non sono fatti miei..."
"Non ti preoccupare...fare la superstar mi impedisce di fare una vita normale come tutti gli altri ragazzi..."
"Superstar?" ripetè Alice perplessa
"Beh si...io sono Bill Kaulitz..." disse rauco guardando a terra
"Bill Kaulitz? Mai sentito dire! Scusa ma non sono molto aggiornata sulle star di oggi che mandano in delirio migliaia di ragazzine..."
Bill sorrise, ma Alice non poteva vederlo e sul suo viso si dipinse un'espressione dispiaciuta "Scusami non volevo offenderti"
"Non mi hai offeso e smetti di scusarti con me. Non faccio parte di quelle star per ragazzine che se la tirano"
Alice rise "Ah meno male! Perchè io non li sopporto proprio!".
Le porte dell'ascensore si aprirono scoprendo l'ampio androne illuminato per lo più artificialmente, perchè i raggi del sole erano ostacolati dagli alti edifici che stavano di fronte.
"Senti se non hai già altri impegni che ne dici di andare a bere qualcosa...?"
"O-ok".
Uscirono dal grattacielo immettendosi in un strada abbastanza trafficata.
Passarono davanti ad un cafè dall'aspetto carino ed accogliente, così Bill decise di entrarvi.
Alice respirò ad occhi chiusi il dolce odore di crema e croissant appena sfornati che li colpì appena entrati. Si sedettero ad un tavolino con ai lati due divanetti dall'imbottitura verde-acido accanto alla vetrina ed ordinarono due muffin con le scaglie di cioccolato e due caffè macchiati con la panna.
"Parlami un pò di te...come mai hai scelto di suonare proprio il violino?"
"Sinceramente non lo so, un giorno l'ho preso in mano e me ne sono innamorata"
"E' stato un colpo di fulmine allora"
"Già"
"Ed è stato difficile imparare a suonarlo...voglio dire..."
Alice fece una graziosa smorfia "Bill, tranquillo! Per me essere cieca non è un handicap o qualcosa di cui vergognarsi, sto bene così!"
il ragazzo rimase sorpreso e non trovò le parole per continuare a parlare
"Comunque rispondendo alla tua domanda: io non sono nata cieca, fino all'età di 3 anni e mezzo vedevo, poi improvvisamente una malattia mi ha colpito gli occhi...i miei genitori sono delle persone normalissime, con dei lavori semplici, ma dignitosi e facevano di tutto per carcare di farmi recuperare la vista, ma le cure erano troppo costose così gli dissi di smettere e che non mi importava di non riuscire più a vedere, gli dissi anche che se volevano davvero farmi felice potevano permettermi di sostenere, almeno una volta alla settimana, delle lezioni di violino e così è stato..." concluse soddisfatta
"Wow! Davvero non so che dire, mi hai lasciato per l'ennesima volta senza parole..."
"Non esagerare! Non credo che abbia fatto chissà che cosa..."
"Ti sbagli, invece. Hai rinunciato alla possibilità di poter vedere per suonare il violino è ammirevole!"
"Se lo dici tu...in realtà non mi pesa il fatto di essere cieca, riesco a fare ugualmente tutto quello che fanno gli altri e poi così mi evito di vedere gli orrori del mondo...quelle stupide guerre, le ingiustizie, come stanno distruggendo l'ambiente..."
"Nel mondo non ci sono solo cose brutte..."
"Bene, allora Bill Kaulitz fammi vedere ciò che c'è di bello nel mondo"
"E tu Alice fai rinascere in me la passione per il canto".
Anche lei l'aveva chiamato "Bill Kaulitz", ma con due piccole differenze: lei non sapeva chi fosse e aveva pronunciato quel nome, il suo nome con un calore che si riservava solo alle persone e non hai fantocci.
 
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Alexiel_Slicer
view post Posted on 4/12/2012, 14:40




CAPITOLO 4 -Egoista-



Dormiva beatamente con il corpo completamente avvolto tra le lenzuola, un lato del viso appoggiato sul soffice cuscino e un braccio a penzoloni che usciva dal letto.
Un brusco movimento che lo scoprì di colpo lasciandolo in boxer lo fece sussultare:
"Su forza alzati, se no facciamo tardi!".
Aprì leggermente gli occhi in una fessura, quel tanto da fargli intravedere la figura di Tom che diretto alla finestra spalancava le tende. Una violenta ondata di luce solare lo colpì in pieno viso accecandolo e facendogli mugugnare con la voce ancora impastata dal sonno "Cavolo Tom! Chiudi quelle tende!"
"No, mio caro. Non chiudo niente. Adesso alzati!"
"E perchè mai dovrei alzarmi? Io in quei maledetti studi non ci voglio più mettere piede!"
"Ricominciamo con questa storia?" sbuffò Tom scocciato
"Si! Non mi sembra che sia così difficile da capire..." disse Bill tirando di nuovo a sè il lenzuolo
"L'unica cosa che capisco è che ti stai comportando da egoista!".
Bill al suono di quella parola si sentì il sangue arrivargli al cervello e drizzò la schiena mettendosi seduto.
"Egoista? Egoista io?! Ma come puoi dirlo? Se qui c'è un egosita quello sei tu! Cazzo sono tuo fratello e non riesci a capire che sto passando un periodo di merda!"
"Ma cosa credi? Che io stia tanto meglio?! Anch'io sono stressato, ma non mi comporto come fai tu!"
"Dimmi che faccio di male! Almeno io lo dico che non c'è la faccio più!"
"Lo dici? Ma se sei un lamento! Non fai altro che fare i capricci come un bambino e sfuriate improvvise come quella di ieri!"
"Non ho mai fatto sfuriate! Quella di ieri è stata un'eccezione! E scusami se sono arrivato al limite, ma sai non sono una macchina!".
Tom si passò una mano sulla testa nervoso "Lo sai che ti dico? Vuoi mollare? Molla! Però poi non ti incazzare quando ti dico che sei un egoista, perchè è quello che sei visto che non ti frega se ci manderai tutti sull'astrico, visto che non ti importa di tutti i problemi che ci causerai! Fai pure la prima donna e metti la tua vita in primo piano visto che della mia e di quella di Georg e Gustav non ti fotte un cazzo!" detto quello Tom uscì dalla stanza chiudendo con forza la porta dietro di sè che produsse un gran rumore che rimbombò per tutto l'ambiente.
Bill lanciò il cuscino contro la porta, ormai chiusa e si lasciò ricadere sul letto con le mani sul viso.
Si sentiva a pezzi, si sentiva uno straccio. Tom lo chiamava egoista, additava come egoista lui che per la band aveva dato sempre il sangue e l'anima, lui che aveva accettato sempre tutto, lui che adesso che era esausto e che non aveva più la forza non poteva neanche decidere di lasciare, di poter vivere la sua vita in santa pace, anche se lui aveva il diritto di vivere, perchè doveva sentirsi dire che era un egoista, perchè sulle sue spalle pesavano le vite degli altri.
Cosa doveva fare? Cosa doveva scegliere? La sua vita con la sua felicità o la vita e la sarenità di suo fratello e dei suoi compagni? Forse la sua vita non era stata programmata per essere vissuta normalmente, forse lui doveva vivere solo per fare sacrifici e soffrire.
Sul grigiore di quel pensiero si alzò e si vestì.
Scese al piano di sotto e trovò la casa deserta: Tom doveva essersene già andato. In garage, infatti, potè constatare che l'auto del fratello non c'era.
Salì a bordo della sua Audi e guidò diretto agli studi o, per meglio dire, nel luogo dove la sua anima avrebbe trovato la definitiva morte.
Durante il tragitto il suo sguardo era perso sull'asfalto che gli stava davanti, mentre guidava meccanicamente. Così tante volte aveva percorso quella strada che ormai gli dava la nausea.
Parcheggiò e prima di aprire lo sportello e appoggiare i piedi a terra una lacrima, inaspettatamente, gli rigò una guancia. Bill l'asciugò subito con il dorso della mano e poi scese.
Mentre si dirigeva all'ascensore aveva l'impressione che le persone che occupavano la hall lo guardassero ridendo. Vedeva i loro visi storpiati e dai lineamenti mostruosi coronati da ghigni sadici che scoprivano dei terrificanti denti affilati ed appuntiti. Sotto quell'illusione giocata dalla sua mente abbassò lo sguardo ed entrò nell'ascensore che lo portò al ventesimo piano.
Entrò nella stanza dove David e Tom quando lo videro rimasero a bocca aperta. Non li salutò e si limitò ad entrare nella stanzetta insonorizzata pronto a fare ciò che non voleva, pronto ad essere guidato da dei fili come un burattino, perchè se c'era proprio una definizione per lui quella non era per niente egoista, ma burattino.
Cantò meccanicamente e senza emozione cercando di eseguire alla lettera gli ordini che gli impartiva David. I suoi occhi fissavano il vetro che gli stava di fronte in un modo innaturale, come se non riuscissero a vedere oltre a quel vetro.
Dopo qualche ora David gli concesse una pausa e Bill silenziosamente uscì.
Sul corridoio una fitta gli colpì lo stomaco facendolo quasi piegare su se stesso, mentre un'espressione di disgusto gli stravolgeva il viso: era il disgusto per se stesso.
Corse in bagno dove si inginocchiò davanti ad uno dei tanti water bianchi scintillanti. Chinò il capò su di esso ed iniziò a vomitare.
Quando terminò tirò lo sciacquone e alzandosi in piedi uscì dalla porticina andando verso il lavandino. Aprì il rubinetto e mise le mani sotto la gelida acqua corrente, poi vi mise sotto la bocca lasciandola inondare per cercare di togliersi dal palato l'aspro sapore del rigurgido, infine bagnò di nuovo una mano che passò sulla fronte e sulla nuca.
"Bill va tutto bene?" si sentì domandare da un dolce volce preoccupata.
Si girò e vide Alice, in quel momento i suoi occhi divennero lucidi e lasciò rotolare sul suo volto delle lacrime silenziose. Davanti a lei poteva lasciarsi andare.
"Si" mormorò con un filo di voce
"Sicuro? Allora perchè stai piangendo?"
Bill rimase attonito e sorpreso: aveva capito che stava piangendo, nonostante non potesse vederlo.
"Io...io...non..." balbettò
"Non provare a negarlo...Bill, ma che succede? Ti va di parlarne?"
"C'è che mi faccio schifo! E parlarne non risolverà nulla!".
Alice abbassò il capo mortificata.
"No, ti prego scusami. Tu non c'entri"
"Perchè ti fai schifo? Dimmelo, per favore. Abbiamo ancora una sfida te lo ricordi?" disse la ragazza con un lieve sorriso nella speranza di alleggerire quell'aria pesante
"Io sono solo un pupazzo, un fantoccio...devo solo cantare e far guadagnare soldi alla mia casa discografica...non posso neanche smettere perchè di mezzo ci andranno altre persone ed io non voglio! Sono in trappola...si vive una volta sola ed io la mia vita la sto sprecando..."
"Bill io, davvero, non so che dirti...l'unica cosa che mi sento di dire è solo la pura verità ovvero che tu Bill non sei un fantoccio, ma una persona...una splendida persona!"
"Come fai a dirlo? Mi conosci a malapena da un giorno..."
"Puoi stare accanto ad una persona per 10 anni e dire di conoscerla, quando in realtà poi scopri che non è così...non serve tanto tempo per imparare come sono fatte realmente le persone che ti circondano ed io posso tranquillamente dire con sicurezza che tu, Bill, sei una splendida persona"
"Oh, Alice...".
La ragazza allargò le braccia e gli andò in contro abbracciandolo. Alice era molto più bassa di Bill e minuta, così che la sua testa andò ad appoggiarsi contro il petto del ragazzo, mentre le braccia di questi l'avvolgevano facendola scomparire.
"A volte un piccolo, ma significativo gesto vuol dire più delle parole..."
"Hai la capacità di farmi sentire umano".
Alice rise teneramente "Allora Bill possiamo dire che siamo 1 a 0".
Anche Bill rise "Solo per il momento".

CAPITOLO 5 -Sei bello-


La notte fu movimentata. Bill continuava a girarsi e rigirarsi nel letto senza pace, in cerca di una posizione comoda e che lo potesse sollevare dal tormento dei suoi pensieri. La sua mente annaspava nelle parole di Alice, lei che lo considerava un bella persona, lei che era forte, determinata ed aveva un'energia, una passione che lui gli invidiava. Adesso che gli era lontano sentiva di nuovo un senso d'angoscia, una nuvola nera sovrastarlo soffocandolo.
Dopo alcune interminabili ore passate nell'insonnia, finalmente riuscì a chiudere gli occhi, anche se per poco.
Sognò di essere incatenato sopra ad un palco e di cantare, mentre i fan che stavano sotto si trasformavano in orribili mostri che salivano per afferrarlo. Poteva sentire in modo tangibile le loro mani ossute e arcuate sulla sua pelle. Nell'incubo gridava e cercava di spezzare le catene che lo imprigionavano, ma senza riuscirci, provò finchè le forze non lo abbandonarono e i mostri famelici non lo sopraffecero. In quell'istante i suoi occhi si spalancarono di colpo.
Si mise seduto, ancora con il respiro leggermente affannato, e si tastò un braccio avvertendo ancora la sgradevole sensazione di quelle mani, passò una mano sulla fronte imperlata di sudore e appoggiando la schiena alla spalliera del letto rimase sveglio con gli occhi persi nel buio della stanza.
Non voleva più addormentarsi, non ci riusciva più.
L'indomani Tom con sua grande sorpresa lo trovò già in piedi e vestito. Non gli chiese il perchè di quella puntualità: a causa della discussione del giorno prima ancora non si parlavano.
Vederlo già pronto per uscire e raggiungere gli studi, nonostante la sua volontà di voler mollare tutto, era una contraddizione e lui lo sapeva, ma solo lì, solo nel suo inferno avrebbe potuto trovare il suo angelo salvatore. Solo andando agli studi l'avrebbe incontrata.

Durante la pausa andò da Alice, che trovò come immaginava, intenta a registrare con il suo violino.
"Buongiorno" le disse quando questa uscì
"Buongiorno, Bill...come va oggi?" rispose lei accompagnandosi da un sorriso
"Se me l'avessero chiesto cinque minuti fa avrei detto di schifo, ma adesso posso dire un pò meglio"
"Oh, bene...allora possiamo aggiungere un altro punto in mio favore?"
"Adesso non esageriamo! Hai già fatto il tuo punto, ora è il mio turno"
"Ok, allora fammi vedere ciò che di bello c'è nel mondo superstar"
Bill arricciò il naso "Per favore, almeno tu, non chiamarmi così..."
"Si, scusami Bill non si ripeterà più"
"Grazie...comunque quando finisci qui?"
"Ho appena terminato"
"Perfetto! Mi chiedevo se volessi uscire...?"
"Certamente!"
"Benissimo! Però puoi avere la pazienza di aspettare un pò? Io non ho ancora finito" disse mortificato
"Non ti preoccupare, anzi così finalmente avrò il privilegio di sentirti cantare".
Bill portò Alice nei suoi studi e cominciò a cantare, però diversamente: nella sua voce si poteva avvertire quel calore, quel qualcosa in più che la rendeva viva. Tutti se ne accorsero, anche lui.
Mentre cantava guardava la ragazza e realizzò che era la medicina alla sua stupida e tormentosa malattia.
Quando terminò, insieme lasciarono l'edificio ed iniziarono a passeggiare.
Il sole stava già tramontando. Il cielo era tinto a gradi di arancione-vermiglio e indaco, mentre la luna già si intravedeva chiara e piccola in un lembo di volta celeste.
"Dove mi stai portando?" gli chiese Alice curiosa
"Lo scoprirai presto" si limitò a rispondere il ragazzo lasciandola con il fiato sospeso.
Dopo svariati minuti abbondanti di camminata si fermarono.
Alice respirò e percepì l'odore dell'erba fresca trasportato dalla leggera arietta che soffiava.
"Dove siamo?" domandò
"In un parco" disse Bill "Vieni, siediti" continuò aiutandola a sedersi tra l'erbetta.
La ragazza con i palmi rivolti a terra sfiorò le punte dei fili d'erba che spuntavano vivaci dal terreno. Bill gli si accomodò accanto e l'osservò con un candido sorriso sulle labbra.
"Dimmi un pò: cosa c'è intorno a noi?" gli domandò inclinando il capo leggermente all'indietro e rivolgendo gli occhi chiusi al cielo
"C'è l'erba, tanta erba e ci sono anche dei piccoli fiorellini lilla qua e la...c'è un albero di fianco a noi...è molto grande e sembra anche molto vecchio, le sue radici sollevano leggermente il prato"
"Deve essere bello qui..."
"Si, lo è"
"Prenderesti uno di quei fiori lilla?"
"Certo" e così dicendo Bill si allungò e delicatamente staccò lo stelo del fiore dal terreno e poi l'adagiò tra le mani di Alice.
La ragazza con un dito ne studiò con attenzione i petali, poi si girò verso Bill e gli chiese "Posso toccarti il viso?"
"S-si" mormorò il ragazzo sorpreso.
Alice prese fra le mani il suo viso e poi con gli indici di tutte e due le mani ne percorse i contorni, per poi risalire e sfiorargli la fronte e poi gli occhi, che Bill chiuse per lasciarglieli studiare con attenzione. Tastò minuziosamente i suoi zigomi e scese seguendo la linea retta e perfetta del naso. Il suo dito cadde sulla bocca e lentamente e con precisione seguì il contorno delle labbra morbide e carnose. Su quel punto si fermò per qualche istante, poi concluse scivolando sul mento e sfiorando la leggera peluria che vi cresceva.
"Sei bello" mormorò dopo aver terminato il suo minuzioso studio
"No, questo posto è bello".
Alice sorrise e scosse leggermente la testa "Siamo 1 a 1, Bill"
"Vedi che nel mondo non ci sono solo cose brutte?"
"Si e tu ne sei la dimostrazione".
 
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Alexiel_Slicer
view post Posted on 6/12/2012, 15:27




CAPITOLO 6 -Il mondo dietro il mio muro-



Il cielo si oscurò presto e il sole ormai completamente calato lasciò posto allo splendore della luna e delle stelle.

"Si è già fatto buio" osservò Bill

"Di già?" fece Alice con una smorfia

"Si...ci sono le stelle adesso"

"Sono tante?"

"Abbastanza da essere uno spettacolo insolito per Los Angeles che di solito le oscura con le luci dei suoi grattacieli"

"Io le stelle non me le ricordo più: l'ultima volta che le ho viste ero così piccola...mi piacerebbe vederle...".

Bill si accigliò e dopo qualche istante di esitazione le chiese "Hai mai preso in considerazione l'idea di riacquistare la vista? Voglio dire negli anni hanno creato molte cure per determinate patologie...magari..."

"Magari niente! Io non posso permettermele, saranno costosissime e poi non è neanche detto che riescano, magari per me non c'è cura"

"Non puoi o non vuoi?"

"...Io...Bill io sto bene così!"

"Hai appena detto che vorresti vedere le stelle..."

"Dimenticalo!"

"Come vuoi...non volevo farti arrabbiare".

Alice non disse niente e girò il viso dal lato opposto al ragazzo.

"Adesso è meglio che andiamo, se no ci chiudono qua dentro" mormorò Bill alzandosi in piedi.

La ragazza all'udire quelle parole si voltò subito e bloccandolo per un lembo dei suoi jeans lo supplicò "No, non me ne voglio andare! Restiamo un altro pò"

"Ma è tardi"

"Ti prego".

Bill la guardò e non potè far altro che cedere al suo volere "Va bene, restiamo ancora un pò" e dopo aver pronunciato quella frase si sedette, di nuovo, al suo fianco.

"Canteresti per me?...per favore" gli chiese poi

"Vuoi che canti?" domando a sua volta Bill attonito.

Alice annuì.

"Va bene...".

Iniziò a cantare con la voce sommessa, mentre con le dite torturava un filo d'erba. La sua voce era l'unico suono che si sentiva in quel parco e il vento l'innalzava piena di tristezza fino al cielo.

Un gran senso di delusione lo pervase: anche Alice, anche lei lo faceva cantare.

"It’s raining today...the blinds are shut...It’s always the same...Life on tv...It’s random...It means nothing to me...I’m writing down...What cannot see...Wanna wake up in a dream...But will I ever know...The world behind my wall...".

Alice andò a tastoni con la mano fino a quando questa non si fermò sul ginocchio di Bill su cui stava una mano di lui. La strinse.

"Tu lo conoscerai il mondo dietro al tuo muro" mormorò improvvisamente e il ragazzo si interruppe

"Non ne sono sicuro"

"Invece dovresti esserlo. Farò di tutto per abbatterlo...adesso guardati Bill Kaulitz: hai appena buttato giù il primo mattone cantando e mettendoci il cuore e trasmettendo tutta la tua tristezza in quelle parole".

Bill sorrise e al tempo stesso si sentì anche terribilmente stupido. Aveva pensato per un attimo che anche lei fosse come gli altri, ma come aveva potuto farlo? Si, era proprio uno stupido.

"Ragazzi che ci fate ancora qui?" una voce squarciò il breve silenzio che si era creato, mentre l'oscurità si dissolse a causa della luce proveniente dalla torcia che gli veniva puntata contro schiarendo i loro visi e al tempo stesso quello dell'uomo che la teneva: il custode.

"Ci scusi, stavamo giusto per andarcene" disse Bill rivolgendosi all'uomo e mettendo una mano davanti agli occhi per ripararsi dal bagliore accecante. Si alzarono entrambi e lasciarono il parco.

"Ti accompagno a casa"

"Non ce n'è bisogno, grazie...prendo un taxi"

"Allora aspetto che arrivi".

Dopo un pò il taxi giallo arrivò e Alice vi salì "Grazie per il bel pomeriggio"

"E' stato un piacere".

Prima che la ragazza potesse chiudere lo sportello dell'auto Bill la fermò "Sei in vantaggio, hai appena guadagnato il tuo secondo punto"

"E cosa avrei fatto?" chiese Alice stranita

"Non lo so, ma sento che te lo devo"

"Così mi regalerai la vittoria, ma se proprio insisti..." disse ridendo "...A domani Bill". Chiuse lo sportello e il taxi partì.

Bill tornò a casa dove trovò Tom sdraiato sul divano color panna, affiancato dal cane, mentre svogliatamente faceva zapping in TV.

"Dove sei stato?" gli domandò

"Non credo che siano fatti tuoi" rispose secco Bill

"Che siamo gentili! Comunque non ho intenzione di litigare di nuovo, volevo solo ritirare quell'egoista di ieri e chiederti scusa" disse alzandosi ed andando verso il fratello

"Scuse accettate" tagliò corto il ragazzo scomparendo al piano di sopra.

In realtà Bill non l'aveva scusato. Gli faceva male il comportamento del fratello, gli faceva male che lui non l'appoggiasse e non lo comprendesse. L'aveva lasciato da solo e se ora non fosse per la vicinanza di Alice avrebbe già combinato qualche idiozia.

Non poteva perdornarglielo.

Si sdraiò sul letto, ma anche quella notte il sonno non fu dalla sua parte. Il pensiero che l'indomani mattina doveva essere di nuovo rinchiuso in quella maledetta stanzetta insonorizzata lo faceva impazzire.

Lui non voleva essere felice ed energico quando cantava, ma voleva cantare come aveva fatto con Alice, mettendo le sue emozioni, la sua tristezza, essendo se stesso.

Si alzò ed andò in bagno, dove dall'armadietto dei medicinali tirò delle pillole. Ne ingurgitò un paio e poi ritornò a letto.

Qualche minuto dopo l'effetto lo invase intorpidendogli i sensi e facendogli divendare gli occhi pesanti finchè non li chiuse sprofondando in un sonno artificiale.

Alice, si, gli faceva bene, ma solo quando l'aveva accanto. Quando gli era lontano sentiva di nuovo gli avvoltoi volargli sulla testa in attesa della sua fine, per poi cibarsi di quello che rimaneva di lui, della sua carcassa.

Il muro da abbattere era enorme, il cammino lungo e lui sperava solo di uscirne vivo e vincente.





***



Tokio Hotel - World behind my wall



Oggi sta piovendo

Le imposte sono chiuse

E’ sempre tutto uguale

Ho provato tutti i giochi che fanno

Ma mi fanno diventare pazzo

La vita televisiva è imprevedibile

non ha significato per me

Sto scrivendo ciò che non posso vedere

Voglio ritrovarmi in un sogno



Mi dicono che è bellissimo

io gli credo

Ma scoprirò mai

il mondo dietro il mio muro?

Il sole splenderà

come non mai

Un giorno mi sentirò pronto

per scoprire il mondo dietro il mio muro

I treni vagano nel cielo

attraverso schegge di tempo

Mi portano in posti della mente sconosciuti



Sono pronto a cadere

Sono pronto a strisciare

sulle mie ginocchia e scoprire tutto

Sono pronto a guarire

Sono pronto a sentire

Mi dicono che è bellissimo

io gli credo

Ma scoprirò mai

il mondo dietro il mio muro?



Il sole splenderà

come non mai

Un giorno mi sentirò pronto

per scoprire il mondo dietro il mio muro

Sono pronto a cadere

Sono pronto a strisciare

sulle mie ginocchia e scoprire tutto

Sono pronto a guarire

Sono pronto a sentire…Portami lì!



Il sole splenderà

come non mai

Un giorno mi sentirò pronto

per scoprire il mondo dietro il mio muro

CAPITOLO 7 -Intruso-



Quel mattino agli occhi di Bill sembrava un pò più luminoso degli altri. Forse perchè l'aveva sognata. Infatti la notte, nonostante qualche ostacolo iniziale, era trascorsa piacevolmente, proprio grazie a quel sogno.
La sognò in un prato cosparso di fiori lilla. Indossava un leggero vestito bianco che sembrava la facesse fluttuare nell'aria, mentre saltellava leggiadra da una parte all'altra. Bill le andava in contro e quando gli fu abbastanza vicino vide quelle iridi color cioccolato fondente più vive che mai e libere da quel leggero velo e quel senso di vuoto che le deturpavano. "Ti vedo, Bill" gli aveva detto con un meraviglioso sorriso prima di lasciarsi cadere sul morbido manto d'erba.
In quell'istante lui si era svegliato con un lieve sorriso che gli incurvava le labbra e la sempre più crescente voglia di vederla.

Una volta agli studi e dopo aver preso l'ascensore che lo condusse, come ogni giorno, al ventesimo piano decise che prima di varcare la soglia dell'inferno sarebbe passato da lei a salutarla per alleviare la sua sofferenza.
Tom gli camminava a fianco e quando, improvvisamente, lo vide fermarsi e cambiare direzione si voltò e aggrottando la fronte gli chiese "Dove vai adesso?".
"Vengo subito, però prima devo fare una cosa" rispose Bill che già gli dava le spalle diretto da Alice.
Il fratello sbuffò e non replicò lasciandolo andare.
Da dietro la porta sentì un colorito vociferio e stranito spinse quel tanto l'ostacolo da permettergli di videre con chi stesse parlando la ragazza.
Con sua grande sorpresa e anche dispiacere la trovò abbracciata ad un ragazzo. Osservò la scena con la bocca leggermente dischiusa in una protesta muta. L'abbraccio si sciolse ed Alice pizzicò le guance di quel tipo dicendogli "Mi sei mancato tantissimo!".
A quella frase Bill indietreggiò e si allontanò il più possibile da quella visione.
Quando fu abbastanza lontano appoggiò le spalle contro il muro e si lasciò scivolare a terra con la testa tra le mani.
Dentro di lui un turbinio di emozioni lo stava corrodendo: provava gelosia, delusione, rabbia, rancore, tristezza. Si sentiva anche un tremendo idiota.
Alice gli piaceva, lo faceva stare bene e sentire vivo. Lei era la sua cura e pian piano se ne stava innamorando. Credeva che un pò di quello che provava lui lo sentiva anche lei, credeva che il suo interesse nei suoi confronti fosse qualcosa di più della semplice sfida che si erano lanciati, lo credeva, ma in realtà non era così.
Quella di Alice nei suoi confronti era solo compassione per uno stupido ragazzo famoso che non ce la faceva più.
Lei già aveva qualcun altro, lei forse senza rendersene conto l'aveva illuso.
Lui quel sentimento che tanto aveva agoniato e che finalmente sentiva di provare come uno sprovveduto ci era caduto, ci aveva creduto. Per pochi giorni aveva dimenticato che per lui l'amore non era altro che un'utopia, che non esisteva, ma adesso quell'amara verità ritornava prepotentemente a galla inondando il suo cuore e facendolo annegare.
"Ma che fai qui nel bel mezzo del corridoio?" si sentì chiedere. Alzò lo sguardo e vide Tom in piedi davanti a lui, con le braccia incrociate sul petto ed un sopracciglio inarcato. "Che cos'è attimo di riflessione sui misteri della vita?"
"Tom va a quel paese" fu la risposta glaciale di Bill che si levò dal pavimento.
In quel preciso istante davanti a loro passò Alice accompagnata da quel ragazzo, il suo ragazzo.
Il volto di Bill si contrasse bruscamente e per Tom capire cosa avesse il fratello divenne fin troppo evidente.
"C'entra lei?" gli domandò dopo.
Il ragazzo non rispose.
"Senti, Bill non ne vale la pena...puoi avere di meglio, lasciala stare e non stare a deprimerti soprattutto in mezzo al corridoio come un barbone".
Lo fulminò con lo sguardo "Lo sai con gli anni sei sempre peggio! Sei proprio uno stronzo ed è per questo che sei solo!"
"Io almeno vivo tranquillo, invece tu cos'hai? Non sei stronzo eppure sei solo lo stesso"
"Maledetto bastardo" disse Bill scuro in viso, mentre se ne andava
"Riempimi pure di insulti se ti fa stare meglio, ma ciò non toglie che ho ragione" gli gridò dietro Tom.
Lasciò l'edificio e cominciò a vagare per la strada. Le persone gli passavano accanto, ognuna con le proprie commissioni, ognuna con i propri pensieri.
Non lo guardavano neanche. Quel giorno era come se non esistesse e questo gli conferiva un senso di sollievo, ma al tempo stesso l'angosciava. Si passava da un eccesso all'altro, dal troppo al troppo poco. Non voleva essere un fantasma ignorato da tutti, ma nemmeno essere continuamente guardato, fotografato e pedinato. Voleva essere nella linea di mezzo, sulla soglia della normalità.
Sentiva le mani in tasco bruciargli per la rabbia. Avrebbe volentieri preso a pugni Tom. Quando si comportava in quel modo così stupido e strafottente non lo sopportava.
Avrebbe preso a pugni anche il tipo dagli occhi verdi ed i capelli neri che stringeva la mano di Alice, anche se alla fine non ne aveva il diritto.
Due coppiette lo affiancarono per l'ampio marciapiede sbattendogli in faccia, quasi di proposito, la loro felicità. Ebbe un'espressione di disgusto ed accelerò il passo per seminarle.
Arrivò a casa e tirò una birra fredda dal frigo che bevve tutto d'un sorso, per poi esserne seguita da un'altra e un'altra ancora. Alla quarta si arrestò.
La bottiglia stava smezzata di fronte a lui, mentre studiava attentamente le goccioline d'acqua che colavano dal collo di essa fino a finire sulla superficie del tavolo. Strappò via la carta con il marchio e ci giocherellò per qualche minuto, poi la lasciò cadere.
Lo sentiva arrivare il turbinio nero che l'avrebbe fatto soccombere ancora di più alla sua sofferenza, lo sentiva e non poteva scappare: per lui non c'era salvezza.
Era assurdo come un barlume di felicità potesse essere schiacciato con così tanta facilità.


CAPITOLO 8 -Sulla vetta della stupidità-



Tom uscì dalla stanza e si diresse all'ascensore. Quando vi fu di fronte trovò Alice che aspettava, anch'essa, l'aggeggio.
Una volta arrivato entrambi entrarono ed Alice chiese "A che piano deve andare?"
"Non c'è bisogno che mi dai del tu, sono Tom"
"Oh, scusami"
"Fa niente...comunque al piano terra"
"Va bene".
Seguirono dei secondi di silenzio poi Alice parlò: "Bill dov'è? Oggi non si è fatto vivo...sta male?" gli domandò preoccupata
"Fossi in te parlerei con lui domani" fu la breve risposta del ragazzo. In quel frangente le porte si aprirono e lui se ne andò.

Tom tornò a casa pieno di buoni propositi che maturarono quando Bill arrabbiato l'aveva lasciato. Volle metterli subito in atto ed andò nella camera del fratello, dopo aver notato le bottiglie vuote di birra sul tavolo della cucina.
"Bill" mormorò entrando nella stanza buia dalla tende tirate che non lasciavano trapelare nemmeno uno spiraglio di luce. Non ricevette risposta e allora gli si sedette accanto: il fratello stava a dorso nudo, disteso sul letto, dalle lenzuola rovesciate a terra, in posizione fetale.
"Brutto sentimentale dobbiamo parlare" disse scherzosamente poggiandogli una mano sulla spalla
"Vattene, lasciami solo"
"Non credo che lasciarti solo sia una soluzione...sai ho riflettuto per tutta la mattinata e sono arrivato alla conclusione che dobbiamo smetterla di litigare! Così peggioriamo solo tutto. Lo so che stai male ed ora ancora di più per quella ragazza, ma noi abbiamo superato sempre tutto insieme e quindi anche questa volta non sarò da meno e potrai trovare la mia spalla come appoggio, ci sarò sempre per te, Bill e scusami se ci ho messo un pò ad arrivarci".
Il ragazzo ascoltò in silenzio tutto il discorso e quando terminò abbracciò il fratello "Scuse accettate e veramente questa volta...l'ho sempre saputo che riflettere non è il tuo forte"
"Lo prendo come un complimento" disse ridendo Tom che ricambiò l'abbraccio.
Aveva perso Alice, ma aveva ritrovato Tom e questo lo sollevava un pò. Adesso poteva contare su di lui e aveva la sua comprensione, anche se le cose non sarebbero cambiate di molto perchè sarebbe stato costretto ugualmente a registrare il disco.
"Domani verrai agli studi?" gli domandò poi
"Non me la sento"
"Io dico che dovresti venirci, solo per domani"
"In che senso?" chiese stranito Bill
"Che vieni agli studi solo domani e poi ti prendi una pausa. Niente più studi, niente più cantare e registrazioni".
Il ragazzo sgranò gli occhi. Non riusciva a credere a quello che stavano sentendo le sue orecchie. "Ma..." biascicò perplesso
"Ma niente! Non è quello che volevi?"
"Si, però la casa discografica..."
"Ci parlerò io con quelli e gli farò andare bene la cosa con le buone o con le cattive" disse scrocchiandosi i pugni.
Bill sorrise "Grazie, Tom. Domani ci sarò".
Sollievo fu la prima cosa che provò. Un grande senso di sollievo. Sentiva le sue spalle alleggerite dal peso che l'opprimeva, ma adesso sul cuore c'era un altro peso che gravava.
Non voleva pensarci, voleva solo godersi la sua vittoria e la nuova vita che gli si sarebbe presentata davanti. Non l'avrebbe più vista.

L'indomani andarono agli studi ed informarono David della decisione, adesso anche sostenuta da Tom. L'uomo protestò un bel pò, ma alla fine cedette e comprese.
I due fratelli lasciarono la stanza ed a metà corridoio si imbatterono in Alice.
"Bill allora dicevamo...?" fece improvvisamente Tom alzando la voce. La ragazza si voltò e disse "Bill...", questi lanciò un'occhiataccia al fratello che dandogli una pacca sulla spalla lo lasciò da solo con lei.
"Scusami, adesso sono di fretta" disse rauco per sfuggirle
"Ti chiedo solo due minuti"
"Non posso, sono già in ritardo" disse secco passandole accanto per andarsene
"No, aspetta!" esclamò Alice afferrandolo per il braccio "Perchè mi eviti? Che ti ho fatto?".
Bill a quel punto sentì le parole bruciargli in gola "Credo che dovresti andare dal tuo amico"
"Quale amico?" fece la ragazza attonita
"Quello di ieri! Non fare finta di niente".
A quel puntò Alice capì e un sorriso divertito le si dipinse in viso "Se continui così Bill, davvero, mi farai morire"
"Cosa c'è di tanto divertente?" chiese indispettito
"Di divertente niente, ma di tenero tanto...il ragazzo con cui mi avrai vista ieri era solo mio fratello maggiore"
"C-cosa?" mormorò arrossendo per l'imbarazzo
"Vive a New York e lavora in un'azienda di trasporti. Ieri gli è capitato un carico per Los Angeles e ne ha approfittato per venirmi a salutare...era da mesi che non ci vedevamo".
Bill si sentì sulla vetta della montagna della stupidità. Era stato ridicolo. Si era tormentato, era stato geloso, aveva sofferto per niente. Era tutto solo un enorme fraintendimento. Quella notizia gli faceva piacere in un senso, ma nell'altro senso il suo orgoglio di uomo ne veniva scalfito. L'unica cosa che seppe fare era ridere di se stesso "Sono un tremendo idiota" disse prima di scoppiare nella risata.
Alice l'ascoltò ridere sorridendo candidamente "Però tu, idiota, mi fai venir voglia di avere la vista".
Il ragazzo di fronte a quella frase rimase interdetto interrompendo la sua genuina risata derisoria nei suoi confronti.
"Non mi chiedi il perchè?" gli domandò Alice
"Perchè?" chiese lui
"Per poter vederti ridere".
 
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Alexiel_Slicer
view post Posted on 8/12/2012, 10:04




CAPITOLO 9 -Non ho ancora vinto-



Bill accarezzò il viso della ragazza che a sua volta strinse quella mano sulla sua guancia.
"Come potevi credere che io avessi un altro ragazzo se..." si interruppe
"Se?" la incalzò dolcemente
"Se l'unica persona che desidero di riuscire a vedere sei tu...non le stelle, non i fiori, non il sole...solo tu...hai vinto Bill Kaulitz. Mi hai fatto venire la voglia di vedere per poter ammirare la cosa più bella che c'è a questo mondo: tu"
"Io non ho ancora vinto...devo avverarlo il tuo desiderio" e così dicendo la cinse per i fianchi e la sollevò delicatamente sulle punte. Avvicinò il viso al suo ed Alice chiudendo gli occhi poggiò un dito sulle labbra del ragazzo, che poi fece scivolare sotto il suo mento che accarezzava con piccoli movimenti. Bill si lasciò deliziare da quel piacevole tocco appena accennato, mentre il cuore gli scalpitava impazzito nel petto come se volesse distruggere la gabbia toracica che lo imprigionava per poter battere ancora più forte. Erano anni che non provava una cosa del genere, anzi non l'aveva mai provata così intensa e violenta.
Con la punta del suo naso sfiorò quello di Alice, poi sulla fronte di lei posò un leggero bacio. Le labbra leggermente dischiuse di Bill scesero fino ad incontrare quelle della ragazza. Sorrise teneramente e le baciò.
Un dolce sapore gli invase il palato e continuò a baciarla con una passione casta.
Le mani di Alice dalla nuca si infiltrarono tra i suoi capelli. Erano morbidi e ci giocherellava arricciandoli tra le dita o semplicemente spettinandoli leggermente.
Mentre lo baciava si chiedeva come fosse il suo Bill. Da quando aveva toccato il suo viso quella sera al parco quel pensiero la tormentava. Voleva tanto vederle quelle labbra da cui usciva quella calda voce che cantava parole cariche di malinconia e che adesso la baciavano, voleva vederli quegli occhi che ogni giorno la osservavano e che vedevano il mondo al posto suo, voleva vederlo ogni suo sorriso.
"Sei il mio angelo, lo sai?" le sussurrò
"Sono stata fortunata quel giorno in cui mi hai urtato"
"E pensare che quella mattina ero così triste ed arrabbiato..."
"Shhh" Alice posò l'indice sulla bocca del ragazzo "Niente più tristezza! Non voglio vederti più in quel modo"
"Non accadrà, adesso sono completo, felice. Ho te e finalmente posso smettere di registrare. Mi prenderò una lunghissima pausa, ti dedicherò ogni singolo giorno".
Alice non ebbe il tempo di rispondere che Tom interruppe quella dolce scenetta.
"Ehm mi dispiace interrompere le vostre smancerie, ma Houston abbiamo un problema"
"Che succede?" chiese Bill aggrottando la fronte.
Il ragazzo si grattò la testa ed arricciando il naso disse "La casa discografica sta facendo un sacco di storie...ho provato di tutto, ma sono irremovibili...minacciano cose assurde".
Bill sospirò scocciato e con la voce rauca mormorò "Sto venendo" poi si girò verso Alice "Devo andare, ci vediamo dopo".
La ragazza annuì "Bill, comunque andranno le cose non disperare, per favore" e gli accarezzò una guancia. Il ragazzo sfiorò la mano e poi seguendo Tom si diresse a combattere la sua più grande battaglia.
Se per Dante il diavolo stava nelle viscere della Terra, per Bill l'ultimo girone dell'inferno stava proprio sulla sua testa: al trentesimo piano.
Quando le porte dell'ascensore si aprirono davanti all'ampio ufficio del direttore degli studi e quindi della casa discografica il suo cuore iniziò a battere di nuovo forte, ma stavolta non per la felicità, ma per l'ansia. Avrebbe dovuto difendersi con le unghie e con i denti. Non voleva uscire da quel posto sconfitto.
La stanza aveva un pavimento lucido di un bianco sporco, su cui al centro troneggiava un enorme tappeto persiano che stonava con l'arredamento moderno che lo circondava. Un divanetto in pelle nera affiancato da un piccolo tavolino di vetro erano situati alla loro destra, mentre sulla parete di sinistra vi era un maestoso quadro astratto raffigurante varie forme geometriche di varie tonalità di grigio e blu, in un angolo stava un minibar dal bancone cromato dove dietro un sfilza di bicchieri da cocktail, champagne e wisky stavano sistemati uno accanto all'altro. La parete di fronte a loro, invece, era completamente in vetro e mostrava un grandioso panoramo di Los Angeles. La luce del sole entrava nella stanza inondandola con tutta la sua potenza facendo brillare il pavimento lucido e lindo. Davanti alle vetrate vi era posta una massiccia scrivania in legno laccata di nero su cui stava un sofisticato computer. Dietro, seduto comodamente nella sedia che richiamava il design dei divanetti, c'era un uomo dall'abbigliamento elegante nel suo abito gessato e la sua cravatta di raso di un bordeaux acceso. Sul viso coronato da capelli neri leggermente mossi teneva un pizzetto un pò sbiancato curato nei minimi particolari.
"Oh Bill, Tom accomodatevi e spiegatemi il perchè di questa decisione" disse quando li vide indicando due poltrone simili alla sua davanti alla scrivania.
"Ultimamente sono molto stanco, stressato e non riesco a cantare come vorrei, non riesco nemmeno a registrare il disco ed è per questo che vorrei prendermi una lunga pausa, inoltre voglio iniziare a vivere la mia vita. Ho dato tutto per la band e credo di meritarmi un pò di tranquillità" disse Bill sedendosi e cercando di risultare il più calmo possibile.
"Quello che mi chiedi è impossibile, purtroppo...il contratto non è scaduto, i fan aspettano un nuovo disco, la data di consegna si sta avvicinando e ancora il lavoro non è ultimato: hai idea di quello che mi stai chiedendo? Concederti una pausa per me sarebbe una follia! Perderei un sacco di profitti!"
"Al diavolo i profitti! Qui si sta parlando della mia vita! Voi non avete il diritto di obbligarmi a cantare, io firmando quel contratto non vi ho venduto la mia anima!" protestò Bill con la voce alterata
"Questo è vero, ma possiamo portarti in tribunale...dovresti pagarci molti soldi per i danni che ci causerai e io non vorrei che finisse così".
Ogni parola che usciva dalla bocca di quell'uomo dava la nausea a Bill. Sentiva le mani prudergli per il nervoso. Provava disprezzo. Per quella gente contava il denaro, più ne avevano e più ne volevano. Che ignobile sentimento era l'avarizia!
"Prendeteveli tutti i vostri maledetti soldi! Per me ci sono cose molto più importanti del denaro!" urlò alzandosi e sbattendo i palmi delle mani sulla scrivania che vibrò facendo tintennare due bicchieri e una bottiglia di brandy che gli stavano accanto.
Se ne andò seguito da Tom, che una volta dentro l'ascensore, gli posò una mano sulla spalla in segno di conforto e gli domandò "Allora che farai?"
"Sono costretto a rimanere, non posso trascinarti in fondo insieme a me..."
"No, Bill se non vuoi non devi. La tua vita e la tua salute sono più importanti di ogni macchina costosa e di ogni lusso"
"Grazie, Tom, ma cercherò di resistere un altro pò".
Le porte si aprirono e nel bel mezzo del corridoio trovarono David ed Alice, entrambi visibilmente preoccupati, li avevano dovuti aspettare per un bel pò.
"Allora ragazzi com'è andata?"
"Quei tipi sono proprio dei succhia soldi!...Dovrai vedere le nostre brutte facce ancora per un pò" rispose Tom ironico per sdrammatizzare
"Bill è tutto ok?" domandò Alice
"Si, piccola" mormorò il ragazzo abbracciandola.
Da una parte, forse era meglio così. Continuando a fare l'automa avrebbe evitato una vita difficile al fratello e avrebbe potuto avverare il desiderio di Alice. Gliel'aveva promesso, gliel'avrebbe fatto rivedere il cielo azzurro, l'avrebbe potuto vedere il suo viso, come lui vedeva il suo.
Con quel pensiero si consolò. E poi adesso che stava amando, adesso che si sentiva importante per qualcuno la sua sofferenza era diminuita drasticamente. Ora era sereno, ora si sentiva vivo.
L'amore di Alice lo stava salvando dal male più grande: la solitudine.

CAPITOLO 10 -Ho paura-



La domenica mattina a Los Angeles era come se fosse un ordinario giorno di settimana. Le strade erano sempre trafficate, i marciapiedi straripanti di gente ed i negozi affollati.
Quel giorno il cielo era limpido ed azzurrino e il sole splendente lo coronava avvolgendo con i suoi raggi la città. L'aria era tiepida e densa di rumori: dalle chiacchiere delle persone ai rumori dei clacson che di tanto in tanto squarciavano violenti le particelle d'aria.
Bill indossava una leggera canotta nera aderente accompagnata da un paio di pantaloni scuri, mentre il suo viso era adornato da occhiali da sole e un berretto da baseball in testa.
Aveva dato appuntamento ad Alice per passare la giornata insieme, solo loro due, lontano dagli studi dove abitualmente si incontravano, lontano da tutti. Le aveva detto che sarebbe andato a prenderla lui, ma lei alzando un dito a mo di sentenza ed arricciando leggermente le labbra categoricamente aveva detto di no e che si sarebbero incontrati direttamente sul posto, sostenendo che venirla a prendere fino a sotto casa la faceva sentire un peso.
Bill ripensandoci sorrise scuotendo la testa, poi controllò l'orario sul suo orologio da polso e notò che era nettamente in ritardo. Si guardò intorno per cercarla con lo sguardo, ma non la trovò. Andò all'entrata di Venice Beach e finalmente vide Alice arrivare con addosso un delizioso vestito turchese. Le andò in contro.
"Scusi signorina, lo sa che è meravigliosa?" disse tirandola a sè
"Oh, me lo dicono in molti. Faccio quello che posso"
"In molti? Chi sono questi molti? Se la devono vedere con me?" fece Bill aggrottando la fronte.
Alice sorrise divertita "Non c'è bisogno, per me neanche esistono quei molti...per me ci sei solo tu" mormorò schioccandogli un bacio a stampo.
Bill sfiorò la graziosa fossetta che si era formata in un angolo della bocca della ragazza "Ecco...ma non pensare di cavartela semplicemente così..." le sussurrò rauco "...awrrr io ti mangio" continuò mordendole lievemente il collo.
Alice rise "Il mio fidanzato è un leone" disse, poi aggiunse maliziosamente "Ma io sono una leonessa e posso mangiarti anch'io"
"Davvero? Wow la cosa mi intriga. Allora mangiami sono qui"
"Non mi provocare"
"Se no?" gli soffiò in viso Bill stringendola ancora di più e posandole un dito sotto il mento avvicinò il viso al suo
"L'hai voluto tu" sussurrò Alice che passando un mano sulla sua nuca lo spinse ancora più vicino al proprio viso e, inaspettatamente per Bill, si impadronì della sua bocca con una passione rovente.
Si lasciò mangiare piacevolmente le labbra che la ragazza si divertiva a mordicchiare, per poi cercare la sua lingua a cui saldamente si incatenava ed intrecciava. Quando meno se l'aspettava questa gli scappava via e allora la rincorreva per farla di nuovo sua.
"Così non mi mangi, mi divori" disse Bill con il respiro affannato una volta terminato quel bacio per la mancanza d'ossigeno
"Ti avevo detto di non provocarmi" rispose Alice soddisfatta dando un colpetto con il polpastrello del suo indice sul naso del ragazzo
"Devo ricordarmi di provocarti più spesso...adesso che ne dici di un bel gelato? Qui c'è un posto che ne fa di buonissimi...uff che faticaccia devo riprendermi" disse sventolandosi con la mano
"Esagerato! Sei proprio un vecchiaccio!" si lamentò la ragazza appendendosi al suo braccio come un koala al suo ramo di eucalipto.
Bill rise "Però non potresti vivere senza questo vecchiaccio"
"Si, si certo. Adesso andiamo però"
"Agli ordini principessa".
Mano nella mano passeggiarono per il lungo viale traficcato da ragazzi in rollerblade, persone con i propri cani, coppiette e persone sole.
La strada da un lato si ramificava in tanti piccoli sentieri ai cui lati vi erano dei prati verdissimi su cui affondavano le loro radici le altissime palme dai tronchi sottili e le fronde vaporose. Seguendo quei sentieri si arrivata alla spiaggia, che già si vedeva in lontananza. Dall'altro lato, invece, stavano edifici dalle varie dimensioni: si potevano trovare dai palazzi di media grandezza ai piccoli locali articolati solo sul piano terra. Lì trovavano sede negozi di surf, souvenir, costumi da bagno e bar. Ogni singolo edificio era unico nel suo genere perchè decorato con magnifici graffiti dai colori sgargianti. Sul lato di uno, in particolare, c'era la rivisitazione della Venere di Botticelli.
Bill avrebbe voluto mostrarla ad Alice, ma lei non poteva vederla e provò rammarico per questo.
Presero due maxi coni con la panna e le cannucce ricoperte di cioccolato di cui uno alla nocciola e stracciatella e l'altro al pistacchio e fragola.
Il ragazzo leccò la sua palla alla nocciala, mentre per mano teneva Alice, quando accanto gli passò la stessa coppia che vide quel giorno fermo al semaforo. Un sorriso gli scappò e strinse di più la mano della ragazza. Non aveva più niente da invidiargli. Adesso anche lui aveva la sua dolce metà con cui passeggiare mano nella mano.
"E' la prima volta che vengo a Venice Beach" osservò Alice
"Davvero?" fece Bill sorpreso
"Si...abito a Los Angeles e non sono mai venuta qui, lo so è strano, ma che ci vengo a fare se non posso neanche vederla? Tutti dicono che è bella, che c'è persino un graffito che raffigura la Venere..."
"Si, c'è...l'abbiamo appena passato".
Alice abbassò la testa e Bill non ebbe il coraggio di aprire bocca, anche perchè le parole che fino a pochi minuti fa gli avevano affollato la mente ora erano svanite.
Imboccarono una delle tante stradine tra il prato e passarono davanti ad un gruppo di palme dai tronchi completamente ricoperti da graffiti e scritte, qualche metro più in là stavano alcuni barili, anch'essi interamente dipinti. Lì l'arte trovava ogni forma di espressione.
Il tintinnio del campanello di una bicicletta li fece sussultare e un attimo dopo una bambina gli sfrecciò accanto.
Continuarono a passeggiare fino ad arrivare sulla spiaggia dove vi erano dei piccoli castelli in legno con tanto di scivolo dove i bambini si divertivano a giocare. Il mare era leggermente increspato dal lieve venticello che soffiava trasportando fino alle loro narici l'aria salmastra. Le fronde delle palme si muovevano piano producendo un impercettibile fruscio prevaricato dagli schiamazzi della gente sulla battigia.
"Siamo sulla spiaggia vero?" domandò Alice che scrollava i piedi invasi dalla sabbia fine
"Si".
A quella risposta si abbassò e tolse i sandali che tenne per i lacci in una mano.
"Senti tesoro a proposito del fatto di riuscire a vedere...l'altro giorno ho fatto un pò di ricerche su internet ed ho visto che a Chicago c'è un'ottima clinica oculistica..."
"Bill, per favore non prenderti queste brighe"
"Per me non sono brighe e poi perchè non dovrei? Adesso stiamo insieme e tu mi hai detto che vuoi vedere"
"Non ho detto che voglio vedere, ma che mi piacerebbe"
"La differenza non è molta"
"Invece si!".
Bill aggrottò la fronte serio "Alice quando si parla di questo argomento in non lo so che ti succede. Sei in continua contraddizione! Un giorno mi dici che vuoi vedere e il giorno dopo ti rimangi tutto! Io proprio non riesco a capirti"
"Non te la prendere, sono io il problema...scusami"
"Io vorrei solo capire qual è il motivo che ti fa tornare indietro. Dici di volermi vedere e poi lo neghi. Vuoi o non vuoi vedermi? Vuoi o non vuoi ritornare qui e poter vedere tutto quello che gli altri vedono?".
Alice si fermò di colpo e lasciando cadere i sandali sulla sabbia si portò le mani davanti al viso. Bill si sentì terribilmente in colpa: farla piangere era l'ultima cosa che voleva.
"Piccola no, non volevo farti piangere" disse avvicinandosi e alzando una mano per asciugarle le lacrime, ma lei indietreggiò impedendoglielo.
"Bill io voglio vederti! Non c'è cosa che desideri di più al mondo! Ma ho paura!"
"Di cosa hai paura?"
"Di tutto! Ho paura di illudermi di riuscire ad riacquistare la vista, quando non sarebbe così! Ho paura di vedere di nuovo il mondo che mi circonda! Dovrei iniziare tutto da zero, sarebbe una nuova vita per me! Dovrei imparare a leggere, scrivere, persino con il violino sarebbe tutto diverso! Ed ho paura di...te"
"Di me?" mormorò attonito
"Si! Adesso sei così dolce, premuroso, affettuoso, in poche parole sei perfetto! In questi giorni standoti accanto mi sono creata un'immagine di te ed ho paura che quando riuscirei a vederti quell'immagine non ti appartenga, ho paura che tu sia diverso, ho paura di un tuo cambiamento...lo so che non dovrei dire queste cose, ma il Bill che c'è nella mia mente è l'unica certezza che ho di te! Per me sarebbe come addormentarmi con una persona accanto e l'indomani svegliarmi con un'altra"
"Per te quindi è l'aspetto fisico che conta?"
"No! Non mi interessa se sei bello o brutto! Io...è il cambiamento che mi spaventa! Dovresti darmi del tempo per abituarmi al tuo nuovo aspetto..."
"Ti darei tutto il tempo che vuoi, ma credi davvero che io ti lascerei alla deriva? Prima dell'operazione che ti catapulterebbe nella tua nuova vita io sarei costantemente al tuo fianco, come anche dopo! Ti aiuterei giorno dopo giorno per prepararti all'evento e renderti meno pesante il cambiamento"
"D-davvero?"
"Certo! Alice io ti devo la mia vita. Mi hai salvato dall'autodistruzione ed ora tocca a me salvare te...io ti amo!"
"Oh, Bill!" mormorò la ragazza con gli occhi ancora lucidi buttandosi contro il ragazzo che la strinse con una forza delicata tra le sue braccia "Ok, fammi vedere. Non ho più paura adesso che so che ti avrò al mio fianco".

CAPITOLO 11 -Sul tetto-



Il mattino seguente Bill andò agli studi e durante la pausa volò immediatamente da Alice.

La trovò ad armeggiare con la macchinetta degli snack appena fuori alla sua sala di registrazione. Senza farla accorgere della sua presenza le si avvicinò e poi l'abbracciò da dietro.

"Buongiorno piccola mia"

"Oddio Bill! Mi hai fatto spaventare!" disse portandosi una mano sul petto "Comunque buongiorno leoncino"

"Awrrr" fece il ragazzo addentando delicatamente una sua guancia "Che combini?" le chiese poi

"Sto cercando di prendere qualcosa di commestibile, ma qui il Braille non c'è e non so nemmeno dove mettere le monetine" disse facendo una smorfia

"Ci penso io. Cosa vuoi prendere?"

"Non so, qualcosa di ipercalorico, dolce e cioccolattoso"

"Stai parlando di me?".

La ragazza rise "Se sei uno snack della macchinetta si"

"Ma così mi possono avere tutte"

"Fai il serio, Bill Kaulitz" disse Alice picchiettandogli una guancia

"Come vuole lei...mmm ti va bene un mars?".

Annuì.

"D'accordo allora che mars sia" e così dicendo infilò le monetine nella fessura e piggiò il bottone. Un secondo dopo un piccolo tonfo si sentì e Bill prelevò la barretta dal cassettino, che poi porse ad Alice.

"Merci" disse baciandolo, poi aprì la carta della ghiottoneria che offrì al ragazzo che l'addentò.

"Ti va di fare quattro passi?" le chiese poi

"Credo che sia un'ottima idea".

Bill la portò sul tetto del grattacielo. Quel giorno nonostante il cielo azzurro ed il sole privo di nuvole soffiava un vento abbastanza violento.

"Ma dove mi hai portata?"

"Siamo sul tetto...a volte venivo qui quando volevo stare da solo"

"E adesso ci vieni con me, però non avviciniamo al cornicione...mi fa impressione sapere di trovarmi sul tetto di un grattacielo con trenta piani e per giunta da cieca"

"Non temere ci sono io con te".

Bill la prese per mano e la condusse vicino al cornicione. Alice sentì una folata di vento colpirla in pieno viso e lasciò la mano del ragazzo per aggrapparsi al suo braccio.

"Ti prego, Bill. Sto morendo di paura!"

"Calmati, sei al sicuro...credi che ti farei cadere?"

"No...ma...".

Il ragazzo avvolse il busto di Alice con le sue braccia facendo aderire la sua schiena contro il suo petto.

"Così va meglio?"

"Si".

Le baciò i capelli e posò la testa sulle spalle di lei.

"Quante volte mi sono affacciato da qui ad osservare quei puntini impazziti sulla strada..."

"Ora non devi farlo più"

"Già non sono più solo..."

"Non lo sei mai stato. Ti ostinavi semplicemente a credere di esserlo"

"No, prima di incontrare te era tutto così diverso..."

"Io non ho fatto niente. Sei stato tu ad uscire dal tunnel nero che ti opprimeva"

"Ti sbagli. Tu hai fatto molto: mi hai fatto innamorare"

"Tu...tu sei come la cioccolata: sei dolce, buono e mi mandi in tilt il cervello".

Bill rise "Sei tu che mi fai diventare così" disse posando il naso contro la guancia della ragazza che accarezzava le braccia attorno al suo ventre.

"Come va con il canto?"

"Molto meglio. Posso terminare di incidere il disco senza rischiare di impazzire, ma ciò non toglie che una volta finito mi prenderò la pausa che mi merito"

"E Fai bene, perchè quando avrò recuperato la vista dovrai farmi vedere un sacco di posti"

"Ovviamente, sarò la tua guida turistica personale"

"Ma che guida turistica sexy che ho"

"Ahah...Comunque dimmi un pò: come mi immagini?" chiese Bill curioso

"Allora nella mia testa sei alto, biondo, hai gli occhi verdi e ti vesti in modo eccentrico"

"Diciamo che sei sulla linea di mezzo: ho i capelli neri e gli occhi castani".

Alice fece una smorfietta "Quando si parte per Chicago?"

"Ahah ora non stai più nella pelle eh? Presto, molto presto. Oggi prenoterò tutto"

"Voglio esserci anch'io!"

"Ok, allora quando usciamo di qui vieni con me".

Restarono un altro pò sul tetto dove la città era ai loro piedi e dove nessuno poteva vederli.
 
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Alexiel_Slicer
view post Posted on 9/12/2012, 10:35




CAPITOLO 12 -A me piaci-



Quando lasciarono gli studi di registrazione era quasi sera ed il cielo era tinto di un blu cobalto.
Tom prese un taxi per lasciare i due piccioncini, a detta sua, alle loro cose. Alice e Bill, invece, a bordo della costosa macchina bianca di quest'ultimo prenotarono un volo andata e ritorno che sarebbe decollato per Chicago tre giorni dopo.
Fatto ciò Bill portò Alice a casa propria dove avrebbero chiamato la clinica per fissare l'appuntamento.
La ragazza varcò la soglia d'ingresso ed un improvviso abbaio la fece sobbalzare.
"Tranquilla è solo il nostro cane" le disse "Shhh fai il bravo tu" continuò rivolgendosi all'animale che accarezzò sul muso per calmarlo
"Oh" fece Tom spuntando dalla cucina con in mano una ciotola d'acciaio ricolma di croccantini "Ehm andiamo a fare una passeggiata Scotty, mi sa che qui siamo di troppo" e così dicendo lasciò in un angolo ciò che aveva in mano ed afferrò il guinzaglio che stava all'ingresso, per poi scomparire dietro la porta accompagnato dal cane.
"Perchè se n'è andato? Poteva benissimo rimanere" chiese Alice
"Scotty aveva la sua passeggiata da fare" rispose Bill un pò imbarazzato mentre accompagnava la ragazza nel salone "Siediti pure, io vado a prendere il computer" disse poi lasciandola da sola.
Andò in camera sua, prese il portatile e riscese. Prima di rientrare nel salone fece una deviazione in cucina dove riempì una ciotola con dei pop corn e tornò da Alice dove vi si accomodò accanto con le gambe incrociate sul divano.
Posizionò il computer sulle ginocchia e l'accese, mentre la ragazza posò la testa contro la sua spalla. Piggiò qualche tasto e poi soddisfatto disse "Ecco qua il numero". Prelevò il suo i-phone dalla tasca dei jeans e riportò il numero della clinica che chiamò sfiorando la cornetta verde sullo schermo.
"Buonasera qui è la clinica oculistica di Chicago" rispose una cortese voce femminile
"Buonasera chiamavo per fissare un'appuntamento con il dottor Cooper"
"Oh si, mi faccia controllare i giorni in cui è libero..." seguirono dei secondi di silenzio, poi la donna riprese a parlare "Le va bene per questo venerdì?".
Bill guardò Alice, che nel frattempo stava tesa verso il suo orecchio occupato dal cellulare per sentire tutto, in cerca di conferma che fece cenno di si con la testa.
"Va benissimo" rispose il ragazzo
"Ok, allora venerdì alle quindici ha il suo appuntamento con il dottor Cooper. Lei è il signor?"
"Kau..." si interruppe bruscamente
"Kau?" ripetè la donna dall'altro capo del telefono
"Volevo dire Marshall, mi scusi" si corresse; Marshall era il cognome di Alice.
"Va bene. Le auguro una buona serata"
"Grazie anche a lei" concluse riattaccando.
Lasciò scivolare il cellulare sul divano che si infiltrò nella fessura tra un cuscino e l'altro, spense il computer e posandolo sul tavolino che gli stava davanti sospirò "Ed anche questa è fatta"
"Già, signor Marshall" disse Alice divertita
"Sei tu la paziente, non io".
La ragazza con la punta di un dito disegnò una spirale invisibile sul petto di Bill "Ormai manca poco, ritornerò a vedere...il solo pensiero mi fa una strana sensazione"
"Non ci pensare, vedrai andrà tutto bene"
"Lo so, e questo perchè ci sarai tu accanto a me"
"Ovviamente" mormorò Bill avvicinandosi per baciarla, ma Alice per tutta risposta afferrò un pop corn dalla ciotola che le stava accanto e lo infilò in bocca al ragazzo, per poi scoppiare a ridere.
Bill inarcò un sopracciglio "Ah, la metti così? Ti rifiuti di baciarmi e mi prendi pure in giro! Bene, bene" disse offeso incrociando le braccia sul petto e girando il viso dal lato opposto alla ragazza.
Sul volto di Alice si dipinse un'espressione dispiaciuta "Scusa, non volevo offenderti...stavo scherzando" mormorò allungandosi verso Bill, ma questo si girò con un risolino perfido e si lanciò contro di lei che finì col toccare interamente con la schiena la morbida superficie del divano, mentre lui stringendole piano i polsi la sovrastava.
"Mai abbassare la guardia, sappilo" le disse compiaciuto
"Ahah! Però così non vale! Mi hai preso alla sprovvista!"
"Ora sei mia" le soffiò in viso. Il suo fiato caldo scostò una ciocca di capelli che le ricadeva sulla fronte.
"Questo è da vedere" fu la risposa di Alice che alzando leggermente la testa dal cuscino sfiorò con i denti appena il naso del ragazzo che ritirò il viso.
"Non ho un buon sapore, lo sai?"
"Io non direi. A me piaci" disse e l'afferrò per il colletto della maglietta attirandolo a sè.
Entrambi avevano due sorrisi divertiti che gli incurvavano le labbra.
Alice lo baciò e Bill durante quel bacio con una mano prese la ciotola dei pop corn e la posò a terra per lasciare il divano sgombro da intralci, poi staccandosi di pochi centimetri sussurrò "Anche tu mi piaci".
La baciò nuovamente, poi con le labbra che sfioravano la pelle della ragazza si spostò sull'orecchio dove con la bocca torturò il lobo. Scese lungo il collo posando dei lievi baci appena accennati, mentre sotto quel tocco Alice sussultava.
Bill insinuò una sua mano sotto la camicetta della ragazza quando questa lo fermò:
"No, Bill" mormorò
"Che succede?" chiese stranito il ragazzo ritirando la mano
"Non voglio da così...aspettiamo un altro pò, il tempo che io recuperi la vista. Ti va?"
"Oh, ma certo...anzi scusami"
"Di che ti scusi? Io lo voglio, ma non adesso...vorrei vederlo quel momento..."
"Mi sembra giusto" disse Bill sistemandosi accanto ad Alice che si accovacciò contro il suo corpo.
Restarono così, in silenzio per dei minuti, forse mezz'ora, poi una voce dal tono cadente e flebile lo interruppe:
"Ti amo" sussurrò la ragazza che stava cadendo tra le braccia di Morfeo "Grazie di tutto..." disse infine prima che tutto ripiombasse nel silenzio.
Bill sorrise e le accarezzò i capelli "Anch'io ti amo".

CAPITOLO 13 -Chicago-



-Tre giorni dopo-

Il giorno della partenza era arrivato.

Tom guidava, mentre Bill al suo fianco seduto sul sedile del passeggero guardava pensieroso fuori dal finestrino. Ormai mancava poco. Presto la sua Alice avrebbe potuto vederlo, vedere lo stesso cielo baciato dal sole che vedeva lui, vedere ogni suo sorriso, ogni suo sguardo, ogni suo gesto come lui vedeva i suoi.

L'auto si fermò davanti alla casa della ragazza, dove questa già aspettava con il suo bagaglio. Bill scese andandole in contro. Quando percorse quei pochi passi che lo dividevano da lei la baciò candidamente sulle labbra e prese la sua valigia che posò nel bagagliaio dell'auto. Una volta fatto ciò si accomodò accanto ad Alice nei sedili posteriori e Tom ripartì.

"Sei pronta?" le chiese

"Sono nata pronta" fu la risposta della ragazza che strappò un sorriso a Bill.

L'aeroporto era appena fuori Los Angeles e lo raggiunsero in tre quarti d'ora. Dentro c'era poco movimento. Qualche persona qua e là passeggiava in attesa del proprio volo, qualcuno conversava al cellulare e qualcun altro addirittura ne approfittava per fare un pisolino sulle panchette d'attesa di plastica rosse.

Si avvicinarono alla signorina dietro il bancone per i biglietti. Questa indossava un gilet blu sotto cui stava una camicia bianca ed una gonna coordinata.

"Fate un buon viaggio e se ci dovessero essere problemi venite pure da me" disse in tono svenevole guardando Tom che ricambiò con una strizzata d'occhio. Bill a quella scena roteò gli occhi al cielo e lo trascinò con sè verso una sfilza di sedie a due file sia davanti che dietro.

"Adesso puoi andare"

"Mi stai cacciando? Certo io sono solo l'autista"

"Buffone mi mancherai in questi giorni" disse Bill abbracciandolo

"Anche tu brutto sentimentale".

L'abbraccio si sciolse e Tom si rivolse ad Alice.

"Stammi bene e buona fortuna"

"Grazie". Si abbracciarono.

"Va bene, allora vi lascio e mi raccomando fratellino non fare troppo fuoco e fiamme in albergo o saranno costretti a chiamare i pompieri" disse infine andandosene.

Bill lo guardò male e quando lo vide scomparirie dietro le porte scorrevoli in vetro opaco si lasciò cadere sulla sedia alle sue spalle. Anche Alice fece altrettanto.

Osservò un pò l'ambiente che lo circondava: un inserviente con il suo camice blu passava sul pavimento grigio un grande mocio, mentre ad ogni passo tirava con sè il carrello con detersivi e scope, un signore all'ala opposta alla loro seduto su una delle tante sedie leggeva il giornale, qualche fila più indietro, invece, un ragazzo stava sdraiato usando per cuscino il suo zaino con il cappello davanti al viso per ripararsi dalla luce dei grandi neon rettangolari appesi al soffitto che illuminavano inutilmente l'ambiente già pervaso dalla luce del sole.

Un'ora dopo l'aria fu invasa da una voce femminile che dall'altoparlante annunciava l'imminente partenza del volo per Chicago.

A quelle parole i due scattarono in piedi e andarono a fare il check-in. Posizionarono i bagagli sul nastro trasportatore e l'agente iniziò a perquisirli, poi superato il controllo recuperarono le loro borse e si diressero all'aereo dove li attendeva la prima classe.



Tre ore di volo ed atterrarono a Chicago. Era mezzogiorno spaccato quando presero un taxi per raggiungere l'albergo.

L'edificio era in una palazzina dalla facciata in stile liberty appena ristrutturata. Un tappeto rosso ricopriva il breve tragitto tra l'ingresso e lo scalino del marciapiede, mentre una copertura a botte su cui stava scritto il nome dell'hotel seguito da cinque stelle dorate lo sovrastava.

Calpestarono il tappeto e varcarono la porta trasparente dai contorni in legno immettendosi in una spaziosa e lussuosa hall dall'arredamento impeccabile con i suoi divanetti in velluto di un verde smeraldo e i tavolini in legno di ciliegio.

Al bancone presero la chiave della loro stanza, la 107 e vi salirono.

Aprirono la porta e davanti agli occhi di Bill si presentò un'ampia stanza dal pavimento in moquet di un grigio fumè e le pareti di un bianco glaciale. Accostato al centro della parete di destra un enorme letto matrimoniale dalle lenzuola blu oltremare, mentre di fronte stava un camino in pietra dove sopra vi era un televisore a cristalli liquidi. In un angolo vicino alla grande portafinestra che occupava quasi tutta la parete adiacente alla porta d'ingresso c'era una poltrona, anch'essa bianca, accompagnata da un tavolino circolare su cui stava un secchio ricolmo di ghiaccio ed una bottiglia di champagne.

Alice si sdraiò sul letto e riposò e Bill rimase a guardarla dormire. Adesso mancavano solo poche ore.



Le 15:00 in punto. Era quello l'orario che sagnava l'orologio appeso alla parete fuori l'ufficio del dottor Cooper. Erano in perfetto orario ed aspettavano solo di essere chiamati.

L'uomo dopo qualche minuto finalmente uscì e con un sorriso cordiale li invitò ad entrare.

Fece sedere Alice su uno sgabello e con una lucina osservò i suoi occhi:

"La vedi la luce?" le domandò

"Vedo solo una chiazza sfocata"

"Mmh".

La fece mettere davanti ad un'aggeggio e continuò ad osservare le sue pupille, poi andò alla scrivania e scrisse qualcosa in un foglio.

"Allora dottore, l'operazione si può fare?" domandò Bill ansioso.

L'uomo tolse gli occhiali dal naso e li posò sul tavolo "Si, si può fare...volete procedere subito al ricovero?"

"Si, subito! Non voglio aspettare un attimo di più" fu la risposta di Alice

"Va bene, signorina. Dia all'infermiera questo e la condurrà nella sua stanza" disse porgendole una cartella "Ci rivedremo domani in sala operatoria".

I ragazzi salutarono il medico ed uscirono dal suo ufficio per poi fare come gli era stato detto. L'infermiera li condusse nella stanza e diede ad Alice una tunica bianca a pois blu.

Bill le baciò la fronte "Vado a prenderti le tue cose, vengo subito" e dicendo questo ritornò in albergo dove prese gli effetti personali della ragazza e ritornò alla clinica. Passò lì la notte, a fianco di Alice, dormendo su una scomoda sedia di plastica.



Il mattino la stessa donna del giorno precedente fece irruzione nella camera.

"Fra poco il dottore arriva, nel frattempo devo metterti questa" disse mostrando una sacca di flebo che iniettò nella vena del braccio alla ragazza.

Un'ora dopo ritornò costatando che il liquido era quasi terminato e informandoli che il dottore era già arrivato.

"Mi dia solo un attimo" disse Alice, la donna annuì ed uscì. "Bill ho paura" mormorò poi

"Hey, tesoro mio stai tranquilla. Vedrai andrà tutto benissimo"

"Ne sei sicuro?"

"Sicurissimo" le accarezzò una guancia "Non pensare ad ora e all'operazione, ma pensa al dopo, a quando riuscirai a vedere"

"Va bene" mormorò la ragazza muovendo leggermente su e giù la testa

"Ti amo" disse baciandola.

L'infermiera ritornò e portò via Alice su di una barella lasciando Bill da solo in quella stanza ad aspettare.
 
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Alexiel_Slicer
view post Posted on 11/12/2012, 14:52




CAPITOLO 14 -Sei mio-



Bill camminava da un capo e l'altro della stanza. Non riusciva a stare fermo. Guardava costantemente l'orologio e si mordeva le unghie per l'ansia, poi finalmente quattro ore dopo Alice fece ritorno nella stanza con gli occhi coperti da una spessa benda di gazza bianca.
"E' ancora un pò stordita dall'anestesia" l'avvertì l'infermiera prima di andarsene.
"Bill" biascicò con la voce strozzata la ragazza
"Amore, come stai?"
"Dopo questo posso sopravvivere a tutto"
"Non avevo dubbi" disse accarezzandole la fronte un pò umida "Fa male?"
"Si, pizzica" mormorò rauca "Sono tanto stanca"
"Dormi piccola mia"
"Tu resti qui, vero?"
"Certo".
Alice fece un piccolo movimento con il capo, poi poggiò una guancia sul cuscino cadendo in un sonno profondo.
Qualche minuto dopo il dottore entrò e fece cenno al ragazzo di uscire.
"Dottore l'operazione è andata bene?"
"Si, nessuna complicazione"
"Meno male" sospirò Bill
"Dovrà tenere le bende per un mese e dovrà cambiarle ogni settimana. Quando ciò avverrà dovrà tenere sempre gli occhi chiusi. Fra un mese tornate da me che gliele toglierò e controllerò come sta. Se ci dovessero essere problemi in questo lasso di tempo chiamatemi"
"D'accordo...la ringrazio"
"Non mi ringrazi. E' il mio lavoro".
Bill ritornò in camera e sedendosi accanto ad Alice strinse delicatamente la sua mano senza svegliarla.

-Un mese dopo-
Un mese era passato e il momento della verità era giunto.
Stavano dietro la porta del dottore come il mese prima, stavolta però Alice sarebbe uscita di lì non più da cieca, ma da vedente.
"Bill resta fuori, per favore" gli disse la ragazza prima di entrare nell'ufficio.
Lui con un pò di rammarico fece come gli fu detto ed aspettò fuori.
Il dottore la fece accomodare al solito sgabello ed iniziò a toglierle la benda dagli occhi.
Davanti ad Alice si presentarono delle immagini sfocate e ad un primo impatto la luce le diete fastidio perchè l'accecò. Sbattè più volte le palpebre per rendere più nitida la vista ed inumidire gli occhi.
Per la prima volto dopo tantissimi anni vide di nuovo il volto di chi le stava dinanzi, vide il quadro appeso al muro con le lettere che man mano andavano a rimpicciolirsi, vide la scrivania e le sedie, vide di nuovo il suo viso riflesso nel vetro di una vetrinetta dove vi erano esposti modellini della struttura dell'occhio umano. Poteva vedere e dentro provò un'emozione talmente intensa e travolgente che per dei secondi, che a lei sembrarono eterni, le mozzò il fiato.
Il dottore l'abbagliò con la sua piccola torcia, poi mostrandole la mano con tre dita alzate le domandò "Quante sono queste?"
"Tre" rispose
"Bene...provi fastidi, dolore, senti pizzicare?"
"La luce mi da un pò fastidio"
"E' normale, l'occhio si deve abituare...metti queste una volta al giorno. Una goccia per ogni occhio per quindici giorni" le disse porgendole una boccettina di collirio.
Nel frattempo Bill fremeva e batteva i piedi sul pavimento producendo dei ticchettii veloci ed irregolari.
Dieci minuti dopo finalmente vide Alice uscire senza bende, ma con gli occhi fissi sul pavimento.
"Tutto ok?" le domandò preoccupato
"Si"
"Allora guardami"
"Non qui, lo farò in albergo" e così dicendo tirò dal taschino della sua giacca un fazzoletto bianco che legò attorno agli occhi.
Rimase così per tutto il tragitto verso l'hotel, poi una volta varcata la soglia della loro stanza e aver chiuso dietro di sè la porta sciolse il nodo dietro la testa e lasciò cadere il fazzoletto a terra.
Alzò lentamente il capo, mentre il cuore le scoppiava nel petto. Bill stava di fronte a lei, teso ed ansioso.
Vide due gambe lunghe e snelle, un addome massiccio coperto da una leggera maglietta larga e quasi trasparente che lasciava vedere i pettorali scolpiti e due spalle forti, ma allo stesso tempo non eccessivamente larghe. Era anche alto, tanto alto e lei questo già lo sapeva perchè quando non poteva vederlo e l'abbracciava sentiva il suo petto contro il viso.
Arrivò al volto e vide due labbra perfettamente disegnate con il labbro inferiore decisamente più carnoso di quello superiore ai cui angoli stavano due piercing. La bocca, inoltre, era adornata da una barbetta incolta che mimetizzava un neo che stava appena sotto. Questa scendeva fino al mento per poi congiungersi con le basette dei capelli scuri, i quali erano rasati ai lati e morbidi e gonfi al centro.
Il naso era grazioso e piccolo, ben proporzionato con il resto del viso e in sintonia con i suoi lineamenti. Da esso pendeva un anellino.
Gli occhi erano bellissimi, di un castano intenso e la guardavano in un modo penetrante e languido. Erano contornati da una spessa linea di matita nera e sovrastati da un paio di sopracciglia perfette e spesse dove all'angolo di uno si trovava un altro piercing. Notò anche la sfilza di orecchini in un orecchio.
Un sorriso le scappò. Era bello si, ma non era il suo tipo e se l'avesse visto per la prima volta adesso probabilmente non l'avrebbe mai considerato un potenziale fidanzato. Però il destino aveva voluto che lo incontrasse da cieca facendola innamorare e superando le semplici apparenze. Alla fine il Bill nella sua testa era eccentrico, anche se non come quello della realtà, però quello che le stava davanti continuava ad amarlo lo stesso e più lo guardava più se ne innamorava. Quello era il vero Bill, il suo Bill, unico nel suo genere, dolce e fantastico.
"Non ti piaccio?" mormorò improvvisamente il ragazzo deluso "Non sei costretta a stare con me se non vuoi..."
"Shhh" fece Alice alzandosi sulle punte per raggiungere il suo viso dove posò l'indice sulle labbra "Non dire niente".
Gli diede una leggera spinta sufficiente a fargli capire di sedersi sul letto che gli stava dietro. Alice si sistemò a cavalcioni sulle sue gambe e intrecciando le braccia attorno al suo collo prese a baciarlo.
"Sei mio" sussurrò tra un contatto e l'altro, per poi prendere la mani del ragazzo ed infilarle sotto la sua T-shirt.
Bill strinse i seni di Alice e li massaggiò, mentre si perdeva nella bocca della ragazza. Le sganciò il reggiseno che sfilò da sotto la maglietta e lanciò a terra. Lasciò le sue labbra per scivolare sotto il mento ed assopare in tutta la sua lunghezza il collo che baciava e leccava al contempo. Alice all'umido contatto sulla sua pelle con la lingua di Bill accompagnata dalla pallina metallica sospirava.
Strinse tra le mani i suoi glutei intento a sfiorare con le labbra le sue spalle. Salì lentamente ed afferrò tra le dita i lembi della sua maglietta che con un abile movimento le sfilò. Affondò il viso nel suo seno che baciò e torturò mordicchiandolo. Alice gemette e a sua volta lo privò dell'indumento scoprendo il torace levigato. Notò il tatuaggio con un triangolo ed un cerchio al centro sul petto e anche i piercing ai capezzoli che sfiorò con le dita. Baciò il disegno e salì fino a raggiungere l'orecchio. Iniziò a leccarne il lobo e Bill sussultò.
La ragazza fece scorrere la sua mano lungo il suo torace e con il dito percorse il contorno di un ennesimo tatuaggio, questa volta una scritta, che si trovava al lato del busto, per poi riscendere fino a posarsi sul cavallo gonfio e un gemito lo pervase.
Alice sbottonò i pantaloni e abbassò la cerniera facendo scivolare la sua mano ancora più in profondità. Bill si morse il labbro inferiore e un gridolino si impadronì della sua gola.
Strinse i fianchi di Alice e fece aderire il suo petto al suo seno, poi ribaltò la situazione e sdraiandola sul letto si portò sopra di lei.
Le tolse i jeans e le accarezzò l'inguine, mentre lei sulla sua coscia sentiva il suo membro duro e pulsante.
La privò dell'intimo e la ragazza a sua volta fece altrettanto con lui. La baciò, per poi insinuare le dita dentro di lei. Gemette e premette ancora di più le mani contro la schiena del ragazzo. Si portò sopra di lui e prendendo il suo mento tra le dita lo attirò a sè facendolo mettere di nuovo seduto.
Bill posò un bacio sulla sua fronte e facendo scorrere le labbra lungo la linea del suo naso di fermò all'altezza della bocca poggiando la fronte contro quella di lei.
"Se ti faccio male dimmelo" le sussurrò guardandola dritto negli occhi che adesso erano vivi e limpidi.
"Non mi farai male" disse Alice accarezzandogli il viso con le dita.
Entrò nella sua intimità e la ragazza posando la testa sulla sua spalla avvinghiò di più le gambe attorno al suo bacino e strinse la sua schiena. Entrambi gemevano e sospiravano insieme. I loro respiri si infrangevano caldi ed affannati l'uno contro la pelle dell'altro. Persino il leggero velo di sudore che ricopriva la loro fronte si fondeva l'uno in quello dell'altro diventando un'unica cosa.


CAPITOLO 15 -Abbiamo vinto-



Camminava per una delle strade di Los Angeles. Alice teneva la sua mano e si guardava intorno con gli occhi pieni di infantile meraviglia, come i bambini che si affacciano per la prima volta al mondo.
Aveva terminato le registrazioni e sentiva le sue spalle libere da un grosso peso. Era anche sollevato perchè finalmente quella pausa tanto agoniata gli era stata concessa. Niente più obblighi, nè aspettative. Era padrone della sua vita adesso e pensando agli ultimi due mesi rise. L'inferno era passato e lui ne era uscito illeso.
Nella sua mente c'era solo un pensiero ormai: far recuperare ad Alice tutti gli anni persi. Le avrebbe fatto vedere un sacco di posti stupendi partendo dal parco dai fiori lilla.
Davanti alla grande cancellata di ferro battuto Bill coprì gli occhi della ragazza con le mani ed iniziò a guidarla.
"Ma dove mi stai portando?" gli chiese curiosa
"Aspetta un altro pò, siamo quasi arrivati".
Si fermarono e la scoprì. Agli occhi di Alice apparve una distesa verde puntinata da piccole corolle lilla che formavano dei gruppetti più o meno densi. Un'albero secolare affondava le sue spesse radici in quel terreno e le sue fronde frastagliavano la luce del sole in tanti raggi abbaglianti che illuminavano i contorni delle foglie e dei rami.
La bocca della ragazza era leggermente dischiusa in un'espressione di stupore, mentre osservava estasiata quella visione.
"E' qui che ti portai quel pomeriggio..."
"E' bellissimo...cosa mi stavo perdendo..."
"Ora non ti perderai più niente, hai soltanto tutto da recuperare".
Bill si sedette sull'erba trascinando con sè Alice. Posò la testa sulle sue gambe rivolgendo lo sguardo al cielo e prese ad accarezzare una mano di lei che portò sul suo petto. Si perse in quell'azzurrino manto infinito.
Lei, invece, giocava con i suoi capelli ed osservava le persone passeggiare sul vialetto di ciottolato studiandone con attenzione i visi.
Il ragazzo allungò un braccio e dall'erba prelevò un fiorellino. Alzò la schiena e lo sistemò dietro l'orecchio di Alice. Questa sorrise e passando il pollice sul suo mento gli chiese "Andiamo anche a Venice Beach? Mi piacerebbe vederla".
"Allora andiamo".
Salirono in macchina e raggiunsero il posto. Una volta scesi la ragazza dondolò la mano di Bill che stava stretta alla sua.
Si immisero lungo il viale quasi correndo e improvvisamente Alice si arrestò.
"E' quella la Venere?"
"Si"
"Wow! Certo vederla in top e shorts, invece del classico nudo, fa un certo effetto" osservò inclinando la testa da un lato, poi riprese a camminare veloce costringendo Bill ad accelerare il passo per starle dietro, nonostante le sue gambe fossero più lunghe di quella della ragazza.
"Non farmi correre, ti prego! Lo detesto!" la supplicò
"Su, dai! Muovi quelle gambine sfaticato! Voglio vedere tutto!"
"A discapito della mia vita, vero?".
Alice fece una smorfia e tornò indietro verso Bill prendendo un suo braccio e mettendoselo attorno al collo "Va bene, non corro. Però dovrai comprarmi un enorme frappè".
Questo la guardò aggrottando la fronte serio "Se continui con gelati, frappè, cornetti e pasticcini non rischi di mettere qualche chilo di troppo?".
La ragazza lo guardò truce "Ma...ma...ma come?! Antipatico!".
Bill scoppiò a ridere "Amore mio, sto scherzando! Ti comprerei tutte le pasticcerie di Los Angeles se lo volessi"
"Bene allora inizia a firmare gli assegni"
"D'accordo. Hai una pen..." non ebbe il tempo di finire la frase che Alice lo baciò.
Passeggiarono e scherzarono fino ad arrivare sulla spiaggia dorata. La ragazza camminò sulla battigia facendo infrangere le onde dell'oceano contro i suoi piedi nudi.
"Ti ricordi quella sfida che ci eravamo lanciati?" gli domandò
"Si, ma non ricordo più a quanto stavamo"
"Neanch'io, ma non ha importanza perchè Bill hai vinto tu"
"No, io non ho vinto. Noi abbiamo vinto" la tirò a sè e l'abbracciò.
In un giorno qualunque, con dei soliti pensieri qualunque ad incupirlo e in una strada qualunque Bill aveva urtato l'amore, senza rendersene conto e senza cercarlo.
Amore che lo salvò dall'accecante bagliore dei riflettori che rendevano buia e triste la sua vita.

FINE

 
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